Uno dei casi di cronaca nera del dopoguerra che più fece discutere fu, a Roma,  l'omicidio di Carla Gruber, nel 1970. Chi era? Una bella donna, compagna di Luciano Luberti, con cui condivideva figli avuti da altri. Fu ritrovata dal marito nella sua stanza da letto, chiusa dall'interno, ricoperta di fiori (tra miasmi insopportabili), a qualche giorno dalla morte per arma da fuoco. La versione è a senso unico, avendo solo la dichiarazione di lui.

 Chi era Luberti, a questo punto, va detto. Romano, ufficiale mancato, si era arruolato nella Wemacht, in quanto fervente ammiratore del nazismo. Si era sposato una prima volta violentando la sorella di un partigiano (per fortuna in seguito lei ottenne l'annullamento); una seconda , nel dopoguerra, con tanto di figli; poi si era messo con Carla .

 Quello che molti hanno dimenticato è che il suddetto era soprannominato "il boia di Albenga"; in epoca di guerra civile si distinse, nella cittadina  ligure rivierasca, per le efferate torture inflitte agli avversari, secondo solo al famigerato Koch dell'omonima banda.

 Ebbe una condanna, ma fu amnistiato, con il contributo di Togliatti e di un parente monsignore. Fu messo sotto accusa dai media? No, rimase indisturbato. Trovò lavoro in un ente religioso cattolico, condusse la sua vita come abbiamo visto, sempre fiero del suo passato.

Per l’uxoricidio fu aiutato da una perizia del noto psichiatra filonazista Semerari, che invocò l’infermità mentale; stette poco in carcere, anzi riuscì a spuntare anche un indennizzo dallo Stato italiano, per ingiusta  ed eccessiva detenzione nel manicomio criminale.  Si dice che Carla sapesse molto, riguardo al contributo del suo uomo a stragi e tentati colpi di Stato, oltre a condividere con lui bizzarrie sessuali.  In seguito Luberti rientrò in cronaca nera per spaccio di droga a minorenni. 

Molti anni dopo, un giornalista, cugino di una delle sue vittime, lo scovò a Roma, dove viveva indisturbato con tanto di pensione. Gli rammentò di quel parente, bersaglio della sua  violenza ai tempi di Albenga. Luberti, sorridendo come al ricordo di una gita scolastica, replicò soavemente, con parole del tipo "Ah sì, quello alto e biondo... ah ecco, lei è il cugino, piacere". Non un segno di rammarico. Morì nel 2002, a  81 anni.


Noi capiamo tutto. Che un giovane abbia ideali, magari respirati in famiglia, e non li voglia rinnegare; che non piacciano i "compagni", che d'altronde sono uomini come gli altri e sbagliano come tutti; che in tempo di guerra ci si voti a una causa sbagliata e, soprattutto allora, con lo spauracchio del comunismo, fosse facile ritenere che solo chi lo combatteva strenuamente garantisse l'evoluzione sociale - dopotutto emerite democrazie la pensavano allo stesso modo e Hitler all'inizio trovò più simpatizzanti di quanto oggi non si sia disposti ad ammettere.

Possiamo altresì scendere sul terreno dell'analisi o del complottismo,  disposti ad ascoltare le teorie più complesse sull'origine psicosociale del nazifascismo, sui piani di controrivoluzione orditi da forze trasversali, e quanto di più audace qualche studioso si sia preso la briga di proporci.  Ascoltiamo le sparate di puro paradosso, che equiparano tutte le dittature, in nome dell'uomo forte che piace sempre.

Incassiamo le interpretazioni  psicologiche alla Junger, sull'inconscio collettivo e il bisogno di rassicurazione. Abbiamo perfino riso quando, negli anni sessanta, qualcuno già scherzava sulle tragedie ancora fresche, con le caricature dei dittatori, che li restituivano simpatici e bonaccioni; o guardando i polpettoni alla don Camillo (riproposti o rivisitati di recente), studiati apposta per ridere del blocco sovietico, che d'altra parte non era un posto piacevole per vivere: niente minigonne, Beatles, figli dei fiori e Caroselli, Moplen e biscotti Doria, solo lunghe file per un po' di pane e poco companatico. Comunismo applicato e marxismo, d'altronde, non sono mai stati equivalenti.

Nazismo e violenza, invece sì. E, ci dispiace per chi invoca la bonarietà del duce, e anche per lui stesso  che poteva far di meglio, ma anche il fascismo ne volle seguire le imprese. Forse non ci si rende conto di cosa significhi vivere  con il timore che una mattina qualcuno venga a tirarti giù dal letto e tu non veda più i tuoi figli. Si tentava di farla finita con tutto questo, ai tempi della resistenza.

Così siete nati e cresciuti cari giovani, da sesso libero e spassi domenicali, soldi in tasca e cellulari cambiati ogni mese: grazie alla libertà ottenuta da quei poveracci che, avessero saputo che sarebbe servita agli aperitivi al Papetee, forse  non l'avrebbero perseguita a rischio della vita. Forse avrebbero scelto di fare come alcuni, non pochi, che si nascosero, alla faccia di chi li criticava: non c'è nulla per cui valga la pena lottare, tanto, chi ti ringrazia?