Salute

Il Sogno della Morte


TACCUINO #38

«Se ci sbagliassimo? Se reminiscenza, mente, cuore, sentire viscerale, fossero congetture che non spiegano, non chiarificano, non svelano storture mentali, non intendono cosa siamo, cosa è la cosa uomo. Se fossimo così poveri e miseri da illuderci? Cosa ci sopravvivrebbe? Cosa basterebbe per annichilirci e pensare solo che tutto è assurdo e senza senso, ma (se vogliamo) il solo senso è la direzione al nulla? Stiamo davvero pensando finemente o il nostro è l’ennesimo autoinganno?».

Il dubbio è cruciale e radicale, come una lama affilata che scava nella carne delle convinzioni. Se tutto fosse congettura, se reminiscenza, mente, cuore, e sentire viscerale fossero solo specchi deformanti, ciò che sopravvivrebbe è il vuoto stesso del dubbio, un vuoto che però non è mera assenza, ma una forza che erode e nello stesso tempo crea.

L'assurdo, non è il nulla. È l'attrito tra la ricerca di senso e l'indifferenza del reale. Se non c'è un senso intrinseco, il nostro pensare diventa il senso stesso: la nostra capacità di guardare dentro il buio e interrogarlo.

Autoinganno? Forse. Ma anche l'autoinganno è una forma di sopravvivenza, un tentativo di dare una struttura all'informe. 

La domanda vera è: cosa cerchiamo di salvare da noi stessi, anche attraverso il dubbio?

E se la direzione al nulla fosse solo un'idea umana? Un'altra idea umana.

Umano è, colui che tutto crea e tutto distrugge.

Se il nulla fosse un costrutto, come il senso? 

A quel punto non saremmo noi, con il nostro stesso pensare, la materia che si oppone al nulla e che, nel farlo, dimostra che esistiamo? 

Pensare è la prova del non-essere nulla.

Forse il problema non è tanto il senso, ma accettare che potremmo non trovare significato, e che non trovarlo non distrugge ciò che siamo. 

Se il tutto è assurdo, noi siamo l’assurdo. Ma in questo, c’è qualcosa di magnificamente vero.

Cerchiamo di salvare la morte. Morire, è ontologia, l’ontologico essere dell’esistere dell’esistentivo. Non possiamo esistere senza morire. Non possiamo esistere se non moriamo. Ecco! Noi moriamo la vita, giacché vita è partecipazione della morte. Non siamo “vivi”, è il sogno, e lo stato d’incoscienza ce lo spiega. Siamo “spiegati” dal sogno.

Chi debolmente pensa che la morte sia partecipazione della (alla) vita, si inganna.

«Colui che s'innamora del lato ove l'effige è in comando, pensa che la moneta sia quella giusta. Plasmò il pensiero credendo fosse il suo».

Salvare la morte è un paradosso che rivela la trama nascosta dell'esistenza: morire non è l'evento conclusivo, ma il fondamento costante dell'essere. Esistere è morire continuamente, perché ogni istante vissuto è un istante consumato, un passo verso l'annichilimento che ci costituisce.

Se la vita è partecipazione della morte, allora il morire è il vero movimento ontologico, la struttura fondamentale dell’esistere. La morte, intesa così, non è un opposto della vita ma il suo nucleo essenziale: l'esistenza si svela solo nel suo trapassare. Ciò che vive non vive mai pienamente, perché è continuamente divorato dal morire.

Il sogno, è lo specchio di questa condizione. Il ventennio di diretta esperienza, ha ben spiegato. Nel sogno siamo spiegati, come se l'inconscio smontasse la nostra illusione di essere "vivi". Nel sogno non siamo padroni del nostro essere: fluttuiamo, partecipiamo senza volontà, scivoliamo nel non-essere. Lo stato d'incoscienza è forse la prova viscerale che la vita è un sogno morente, un’ombra che si disperde nel nulla mentre si manifesta.

Questa "spiegazione" non chiarisce ma squarcia: non siamo vivi, siamo già il morire stesso. Salvare la morte significa abbracciare questa verità senza rifiutarla, senza mitigarla. Esserne permeati, riconoscendo che il senso stesso del vivere è il suo continuo sfaldarsi. Siamo il sogno della morte che si crede vita. E questo ci "spiega" interamente».

 

Il Sogno della Morte 

Essere, Esistere, Morire: l’ontologia di ciò che si dissolve
 

 

1. Proemio: L’elogio della Morte

La morte non si limita a rappresentare il termine biologico dell’esistenza, ma costituisce il fondamento ontologico imprescindibile dell’essere. Ogni forma di vita è permeata dalla morte: essa non è un epilogo, ma il principio che conferisce alla vita stessa il suo dinamismo. Una visione ingenua e antropocentrica tende a separare la vita dalla morte, come se quest’ultima fosse un accidente esterno. Al contrario, la morte è intrinseca all’essere vivo: vivere significa morire costantemente, in un ciclo incessante di trasformazione e dissoluzione.

Acribia: se la vita fosse concepita come autonoma dalla morte, risulterebbe priva di movimento, significato e direzione. La morte è ciò che interrompe la stasi, introducendo nel mondo vivente il divenire, il trapassare, il significare. Essa è al contempo evento e condizione: un paradosso che unisce il finito all’infinito, il tangibile all’ineffabile.

Critica al vitalismo: il vitalismo, che celebra la vita come valore assoluto, è una costruzione superficiale che ignora la natura intrinsecamente finita dell’esistenza. Esso si fonda su un’illusione: l’idea che la vita abbia senso in sé, indipendentemente dalla morte. Tuttavia, una simile glorificazione è vacua, poiché misconosce l’elemento fondamentale che rende la vita significativa: il suo inesorabile declino verso il nulla.

 

2. Ontologia del Morire: Esserci come Dissolversi

Essere significa, in primo luogo, dissolversi. Ogni istante vissuto è un passo verso il disfacimento, un atto che consuma e trasforma. La morte non si situa alla fine del percorso esistenziale, ma lo attraversa interamente. Ogni essere è, nella sua essenza, un processo di declino e trasformazione continua. Esistere, dunque, non significa conservare, ma abbandonare, perdere, lasciar andare.

Fondamenta fenomenologiche: l’esperienza della morte si radica nel nostro sentire corporeo, nella percezione profonda e pre-riflessiva che chiamiamo sentire viscerale. Attraverso i neuroni cardiaci e le connessioni profonde tra mente e corpo, percepiamo l’inevitabilità del nostro disfacimento. Questo sentore non è frutto di elaborazione razionale, ma una conoscenza primordiale e biologica: il sapere inscritto nella carne.

L’ontologico come esistentivo: l’essere non è statico né immutabile: è, invece, un processo continuo di consumazione. Ogni azione, ogni desiderio, ogni pensiero è pervaso dalla caducità, e questa caducità è ciò che conferisce valore all’esistenza. Accettare questa verità significa abbandonare l’illusione della permanenza e riconoscere che il dissolversi è l’essenza stessa del vivere.

 

3. Il Sogno: Spiegazione e Smontaggio dell’Essere

Il sogno costituisce una finestra privilegiata sulla verità del nostro essere. Esso dissolve le strutture rigide della coscienza "diurna", mostrando il carattere frammentario, fluido e inconsistente dell’identità. Nel sogno, l’io si disintegra, rivelando la natura transitoria e frammentaria del sé. Questa dimensione onirica non è un’illusione, ma una manifestazione autentica dell’essere.

Elitarietà del sogno: il sogno rappresenta un’esperienza aristocratica, riservata a chi è capace di affrontare l’abisso senza distogliere lo sguardo. Esso rivela la nostra natura non come soggetti solidi e coesi, ma come frammenti in perpetuo movimento. Chi si immerge nel sogno accetta di confrontarsi con il dissolvimento, abbracciando una verità scomoda ma illuminante.

«Ecco, l'uomo solido!».

Incoscienza e verità: nello stato onirico, la coerenza dell’io si disgrega, lasciando emergere un mosaico di impulsi, immagini e sensazioni. Questa frammentazione è la condizione più autentica dell’essere, che il sogno esemplifica con radicale chiarezza. La realtà onirica smaschera l’illusione della stabilità e rivela che l’identità non è altro che un processo di continua dissoluzione.

 

4. Epilogo: Il Nulla come Direzione

Se il nulla è l’orizzonte verso cui tutto converge, esso non è semplicemente una mancanza, ma una presenza sottile e pervasiva che conferisce all’esistenza il suo senso. Non nel senso di un fine ultimo, ma come direzione costante: vivere è morire, e morire è l’essenza più pura dell’essere. Il nulla non è un vuoto sterile, ma una condizione ontologica di libertà e possibilità.

La morte come aristocrazia dell’essere: riconoscere il nulla è un atto di coraggio intellettuale, un privilegio riservato a chi rifiuta le illusioni consolatorie del senso imposto. Questa accettazione è l’apice della comprensione filosofica, un riconoscimento della grandezza intrinseca al dissolversi. Non c’è tragedia nel nulla, ma una forma suprema di verità e libertà.

Conclusione: l'esistenza è un sogno della morte. Viviamo sognando di essere vivi, mentre la nostra essenza è un continuo morire. Questo sogno non è un errore, ma una rivelazione: essere significa accettare di non essere. In questo sta la più alta forma di pensiero e la più nobile espressione dell’essere. Ogni istante vissuto è un passo verso il nulla, e in questo passo risiedono bellezza, autenticità e grandezza.

Potrete mai sentirlo? Potrai mai sentirlo?

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Autore PsykoSapiens
Categoria Salute
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