Esteri

Dalle 23 del 31 gennaio la Gran Bretagna non fa più parte dell'Unione europea

Mercoledì scorso il Parlamento europeo ha ratificato l'accordo di recesso sulla Brexit. Adesso è la volta del Regno Unito, che lascerà formalmente l'Unione europea dopo 47 anni questo venerdì 31 gennaio, alle ore 23, facendo pertanto registrare uno dei maggiori cambiamenti politici ed economici degli ultimi anni... non solo in Europa.

Ma come accennato in precedenza, l'addio sarà solo formale. Dal 1 febbraio inizierà, infatti, un "periodo di transizione" in cui il Regno Unito farà ancora parte del mercato unico e dell'unione doganale, mentre verranno avviati nuovi negoziati con Bruxelles con la speranza di concludere un accordo di libero scambio entro l'anno, come stabilito per legge dal governo Johnson. 

Pertanto, se a fine dicembre un accordo con l'Ue non dovesse essere raggiunto, si affaccerà di nuovo la possibilità, ma in questo caso si dovrebbe dire certezza, di una Brexit no deal con gli scambi commerciali tra Regno Unito ed Unione europea che verrebbero regolati in base alle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio, fatto che potrebbe danneggiare l'economia di entrambi.

La Gran Bretagna ha deciso di uscire dall'Europa con il referendum del 23 giugno 2016 con il 51,9% dei sudditi di sua maestà a favore ed il 48,1% contrari.

Quale la causa di quel voto? L'euroscetticismo diffuso alimentato dai tabloid anti-UE, l'ascesa degli indipendentisti guidati da Nigel Farage, un trend in ascesa a favore del populismo, la crisi migratoria in Europa, i timori per la possibile adesione della Turchia all'UE, la mancanza di lavoro nelle aree extra urbane e la presenza di molti migranti dell'est Europa che accettavano lavori con salari ridotti.  


Dopo la sconfitta al referendum, l'allora primo ministro Cameron (a favore della permanenza in Europa) si dimise ed è toccato a Theresa May iniziare le trattative per porre le basi di un accordo finalizzato a portare la Gran Bretagna fuori dall'Ue.

L'accordo che la May trovò con Bruxelles avrebbe poi dovuto essere controfirmato anche dal parlamento britannico. Ciò non avvenne a causa del cosiddetto backstop con l'Irlanda del Nord. Uno scoglio, quest'ultimo, insuperabile per Theresa May, nonostante le proroghe e le rassicurazioni fornite dal Consiglio europeo.

Dopo le sue dimissioni ed il cambio al vertice del partito conservatore, della Brexit se ne è occupato Boris Johnson a partire da luglio 2019. Johnson è tornato a Bruxelles e ha rinegoziato parti del precedente accordo facendo ricadere sulla sola Irlanda del Nord il problema dei confini aperti tra le due Irlande e la gestione dei dazi tra Ue e Regno Unito. Anche questa proposta è stata respinta dal Parlamento britannico.

Johnson allora ha richiamato la Gran Bretagna a votare per un nuovo Parlamento e la Brexit, adesso, è diventata realtà. 


E da febbraio, che cosa accadrà?

Nulla di diverso da quanto accaduto finora. Per chi viaggia, durante il periodo di transizione, i cittadini europei e del Regno Unito potranno comunque fare la fila nelle aree riservate agli arrivi UE.

Patenti di guida e "passaporti" per gli animali domestici continueranno ad essere accettati fino alla loro scadenza.

La Tessera europea per l' assicurazione malattia (Team), che fornisce ai cittadini del Regno Unito cure mediche all'estero in caso di malattia o incidente, continuerà ad essere riconosciuta in Europa anche durante il periodo di transizione.

Non cambierà neppure la libertà di circolazione tra Europa e Gran Bretagna, con i cittadini europei che potranno, come hanno fatto finora, vivere e lavorare ancora liberamente nel Regno Unito, così come quelli britannici nell'Ue.

Il Regno Unito continuerà a contribuire al bilancio dell'Unione europea durante il periodo di transizione. Ciò significa che l'Europa continuerà a finanziare i progetti britannici.

Inoltre, anche gli scambi commerciali tra Regno Unito e UE continueranno come prima, senza l'introduzione di dazi o controlli.


Johnson, dopo aver ottenuto la Brexit, non è detto che nei prossimi mesi non voglia spingere per una hard Brexit. In ogni caso, nonostante le sue rassicurazioni ed il suo ostentato buonumore, il premier britannico dovrà affrontare l'ira degli scozzesi, che si sentono raggirati (del resto sono rimasti nel Regno Unito soprattutto perché questo garantiva loro la permanenza in Europa) e quella dei nord irlandesi che dovranno fare da svincolo - non si sa bene come - per regolare i rapporti commerciali tra Irlanda, Regno Unito ed Europa. Inoltre, non è da escludere che molte delle multinazionali che avevano scelto Londra e la Gran Bretagna per la gestione delle loro attività in Europa non decidano di trasferirsi nei prossimi mesi.

Per l'Europa la Brexit non è una buona cosa, ma - molto probabilmente - non lo sarà neppure per il Regno Unito.

Autore Antonio Gui
Categoria Esteri
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