La crisi finanziaria delle Regioni italiane si fa sempre più acuta, costringendo molti territori a misure drastiche come tagli ai servizi e aumenti delle tasse. Con i disavanzi sanitari in primo piano, i governi locali si trovano strette tra la necessità di risanare i conti e l’esigenza di tutelare i cittadini, soprattutto i più vulnerabili. Mentre alcune Regioni come Lazio, Campania e Calabria hanno già vissuto anni di tensioni finanziarie, altre – tra cui Abruzzo, Umbria ed Emilia-Romagna – si preparano a introdurre pesanti addizionali Irpef nel 2025, nel tentativo di scongiurare il commissariamento.  

Il nodo centrale resta il deficit dei sistemi sanitari, spesso aggravato da costi imprevisti. In Umbria, la presidente Stefania Proietti ha illustrato un disavanzo di 243 milioni per le aziende sanitarie nel 2024, ridotto a 90 milioni dopo interventi straordinari. Senza ulteriori risorse, il rischio è il blocco del turnover e degli investimenti in strutture e macchinari. Analogamente, l’Abruzzo attribuisce il proprio disavanzo di 81 milioni all’aumento dei costi del personale (+43 milioni nel 2024), giustificando la rimodulazione delle addizionali.  

Le scelte fiscali variano notevolmente tra le Regioni:  

  • Abruzzo ha approvato aliquote progressive: 1,67% sotto i 28.000 euro, 2,87% tra 28.001 e 50.000, e 3,33% oltre i 50.000.  
  • Umbria propone aumenti significativi per le fasce medie e alte: dall’1,95% per redditi 15-28.000 euro al 2,1% oltre i 50.000.  
  • Emilia-Romagna pianifica incrementi graduali fino al 2027, con aumenti dello 0,9% per la fascia 28-50.000 euro e dell’1,06% per i redditi più elevati.  
  • Toscana, dopo gli shock del 2023 (aliquote salite fino al 3,33%), mantiene le posizioni, aspettando risarcimenti governativi.  

Non mancano misure di compensazione. Il Lazio estende l’esenzione dall’aumento dell’1,6% ai redditi fino a 28.000 euro e introduce detrazioni per chi guadagna tra 28.000 e 35.000. La Valle d’Aosta esenta i redditi sotto i 15.000 euro, mentre Puglia e Campania premiano le famiglie numerose o con figli disabili. Anche Marche e Liguria mitigano gli impatti con aliquote basse e sussidi per i nuclei familiari fragili.  

Alcune Regioni mantengono stabilità. Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Sicilia e Basilicata confermano l’aliquota unica all’1,23%, così come Lombardia e Trentino-Alto Adige, quest’ultima con detrazioni mirate per famiglie e giovani.  

Le decisioni non sono indolori. In Toscana, le proteste dello scorso anno riflettono il malcontento verso aumenti che hanno colpito soprattutto le fasce medie. L’Emilia-Romagna, pur optando per incrementi graduali, dovrà bilanciare sostenibilità e consenso. Intanto, il governo nazionale è chiamato a intervenire: il presidente Giani sottolinea che la riduzione delle tasse in Toscana dipenderà dai rimborsi del payback sanitario.  

Il quadro è frammentato: da un lato, Regioni costrette a sacrifici fiscali per salvare la sanità; dall’altro, territori che cercano di proteggere i cittadini. La posta in gioco è alta: evitare il commissariamento significa preservare l’autonomia, ma gli aumenti rischiano di aggravare il divario Nord-Sud e le disuguaglianze sociali. Il 2025 sarà un banco di prova cruciale, con l’auspicio che alle misure emergenziali seguano riforme strutturali per risanare i conti senza penalizzare i servizi essenziali.