Chi, ancora oggi, apre il Catechismo della Chiesa Cattolica, non trova la parola "pedofilia". Laddove si parla delle "offese alla castità", lì dove vengono nominati lo stupro, la pornografia, la prostituzione e così via, là non esiste la pedofilia. Di essa, attraverso giri di parole più o meno complicati, se ne parla – sempre senza nominarla – a proposito di incesto e in qualche altro frangente, con toni però sempre doverosamente edulcorati ed indiretti.
La parola "pedofilia", finora, è misteriosamente assente nel vocabolario del Catechismo della Chiesa Cattolica, il che fa pensare che se la Chiesa, non ne parla, vuol dire semplicemente che non ne vuole parlare.
Prendiamo uno dei punti del Catechismo in cui più si allude alla pedofilia, l'art. n° 2389:
"Si possono collegare all’incesto gli abusi sessuali commessi da adulti su fanciulli o adolescenti affidati alla loro custodia. In tal caso la colpa è, al tempo stesso, uno scandaloso attentato all’integrità fisica e morale dei ragazzi, i quali ne resteranno segnati per tutta la loro vita, ed è altresì una violazione della responsabilità educativa".
Cosa c’entra l’incesto con un monsignore che raccoglie sul suo computer un ingente quantità di materiale pedo-pornografico, o con i suoi colleghi di ogni ordine e grado che non si limitano alle foto? Assolutamente niente, ma siccome, almeno in teoria, i preti figli non ne hanno, ecco che automaticamente e furbescamente vengono esclusi.
È invece giusto che i bambini la sentano, abbinata a chiunque di pedofilia si "diletti", anche quando vanno al catechismo. Chiamare un delitto col suo nome proprio è un requisito assolutamente necessario per sconfiggerlo, ma da questo orecchio la CCAR pare che non ci voglia sentire.