L’antiquariato e il mercato dell’arte sono zone difficili da praticare, irte di insidie, consigliate ai soli intenditori. Molti traffici paralleli si muovono intorno a questa passione, da quelli di alto profilo che vedono gli oggetti di maggior pregio battuti alle aste più celebri del mondo, alle sole dei falsi, che procedono poi a una vita propria e vivono di un loro valore aggiunto; per arrivare ai famosi tombaroli, oggi probabilmente disoccupati per esaurimento delle possibilità di saccheggio e sgamati facilmente se gabbano.
Che sia per ghermire l’agognato pezzo o che il desio del bramato bene rappresenti una scusa, l’ augusta atmosfera del settore evoca tre fatti di sangue ad essa legati. Il triangolo è Venezia, Genova, Firenze, anche se sappiamo che la seconda soccombe sempre dinanzi a alle due matrone artistiche d’Italia.
Nel lontano 1970, a Venezia, viveva un aristocratico da film di Luchino Visconti, Filippo Giordano delle Lanze, 46 anni, conte torinese trasferito in laguna, a Ca’ Dario (poi acquistata da Raoul Gardini). Il 19 luglio di quell’anno il nobiluomo fu colpito ripetutamente, a morte, con un prezioso vaso d’argento. Vero è che aveva acquistato il palazzo all’asta e forse si era fatto nemici dell’ambiente, tanto più che il cadavere fu ritrovato accanto a un quadro, ma le indagini portarono al giro delle “amicizie particolari”, come allora venivano chiamate; e a identificare un marinaio croato, che fuggì subito senza più essere riacciuffato, mentre in contumacia fu prima assolto e poi condannato. In seguito sorsero dubbi sulla colpevolezza, ma più a fondo non si andò.
Ci trasferiamo nel centro storico di Genova dove l’anziana antiquaria Maria Sconfienza, che da tempo sembrava svanita e poco in sé, lamentando minacce, venne trovata morta per gli esiti di una ventina di coltellate, il 13 ottobre 1993. Questo delitto presenta molte sfaccettature, compresa quella esoterica. Per via del furto di una coppa di quarzo rosa e dopo, pare, la soffiata di una veggente (come nel caso di Chiara Bariffi, vedi nostro articolo) si arrivò a un nome, ma la fonte delle poche informazioni disponibili, a cui tutti attingono, è così specialistica che non si riesce nemmeno a capire se il tale fu poi formalmente indagato o meno; di certo lo fu un noto rampollo di famiglia ligure, che poi venne assolto, successivamente beccato a cercare di rastrellar denaro con un rapimento e poi praticamente diseredato dal facoltoso padre, come si scoprì alla lettura del testamento: buio fitto.
Ed eccoci finalmente a Firenze, il 15 gennaio 1997, sempre in odor di processo per i fatti del " Mostro", che di sguincio entra anche qui.
Alvise di Robilant è un affascinante aristocratico 72enne, divorziato, tre figli, che vive da solo in via della Vigna Nuova, da palazzo Rucellai, ed è tutto dire. Già in servizio da Sotheby’s, ancora attivo nel campo, gli amici assicureranno poi che era sereno e sempre “in tiro” come playboy, benché attempato e non più in ottime acque economiche. Viene ritrovato per terra, sopra il corpo una coperta, ucciso a bastonate, in un appartamento peraltro in ordine. I vicini diranno di aver sentito le note del piano, che Alvise suonava sempre quando era a casa, ma la musica che ne usciva era sgraziata. Poiché sui tasti non furono trovate impronte, è probabile che a “suonare” sia stato l’omicida, nel tentativo di ripulirle. Un quadro raffigurante San Gerolamo è stato sfigurato, il computer fracassato, ma una discreta somma è rimasta dov’era; la tenda presenta impronte di dita insanguinate.
Che c’entra il killer delle coppiette con Alvise? Probabilmente nulla, ma si condividono un detective e un magistrato e, per prudenza, riportiamo da Repubblica, 4 febbraio 1997, Gianluca Monastra “ Alt del giudice alla Polizia ‘ Non indagate sul conte’… Il capo della squadra mobile Michele Giuttari ha presentato al procuratore Francesco Fleury una precisa annotazione nella quale riassumeva le attività svolte di propria iniziativa e indicava possibili chiavi di lettura del delitto… secondo la procura, qualcuno deve fare un passo indietro, per evitare il rischio di sovrapposizioni delle indagini. A chi tocca? Alla polizia. "Non ho nulla contro la polizia - precisa il pm Singlitico - ma devono agire su direttive precise".