Può una app consentire che vengano ribaltate regole e diritti con la giustificazione di una maggiore praticità e velocità nella fornitura di un sevizio?

Dalla parte degli utenti il quesito non si pone. Però se la domanda viene posta a chi da una app viene palesemente danneggiato, la risposta è chiara e netta e non offre alcun tipo di fraintendimenti nella sua interpretazione.

Uber, la app che consente di prenotare un servizio di trasporto alternativo a quello dei taxi tradizionali, svolto da privati che con il proprio mezzo si mettono a disposizione di un cliente, ha creato un sacco di problemi in tutto il mondo.

Problemi che finiscono in cause legali dove i tribunali devono decidere su materie che, spesso, dal punto di vista legislativo non sono neppure normate.

Anche in Inghilterra, Uber sta creando dissidi e polemiche, ma rispetto ad altri paesi, l'applicabilità del servizio trova maggiori ostacoli e difficoltà.

L'ultima è rappresentata dal Transport for London, un ente che regola il trasporto sui mezzi pubblici, che aveva deciso di imporre regole più stringenti in relazione al fatto che chi guidi un veicolo per trasportare a pagamento delle persone deve saper leggere e scrivere in inglese.

Uber si era opposta a questa direttiva ricorrend alle vie legali. Oggi, il giudice John Mitting si è espresso sull'argomento e ha sancito che TfL (Transport for London) ha pienamente diritto nel richiere che i conducenti sappiano esprimersi correntemente in inglese.

Per Uber è un problema non da poco, perché questa diretttiva causerà una riduzione significativa del numero di autisti che la società d San Francisco poteva offrire nella capitale inglese.

Ma i guai in Gran Bretagna per Uber non sembrano terminati. Infatti, a breve dovrà affrontare un'altra causa in cui è chiamata a riconoscere ai propri conducenti un salario minimo e ferie pagate, proprio come se fossero assunti.