Whistleblowing: funziona? Intervista a Vincenzo Musacchio
Intervista a cura di Lucia De Sanctis
Professore, innanzitutto ci spiega cosa è un whistleblower?
È un lavoratore che, all’interno di un ente pubblico o privato, rileva una possibile corruzione, truffa o altro delitto, un pericolo o un rischio che possa ledere terzi o parti in causa o la stessa reputazione dell’impresa, ente pubblico o privato a partecipazione pubblica. Per questi motivi decide di segnalare alle autorità competenti. Così come i testimoni di giustizia hanno contribuito a contrastare le mafie, i whistleblower potrebbero avere un ruolo nell’arginare la corruzione.
La legge recentemente approvata sta funzionando?
Fatta la legge, ora bisogna cambiare la cultura e la mentalità degli italiani, il che non è semplice. Denunciare corruzioni o frodi sul posto di lavoro, non è agevole poiché i rischi di trovarsi con le spalle al muro sono alti. Mobbing o licenziamenti in seguito a una denuncia o una segnalazione sono purtroppo all’ordine del giorno. Chi segnala oggi si trova di fronte a una situazione di totale isolamento, ad affrontare da solo discriminazioni o una causa di natura civile, penale o di lavoro.
C’è qualche punto dolente della nuova normativa?
Chi segnala un fatto penalmente rilevante all’interno della pubblica amministrazione o nelle imprese private, spesso, agisce per il bene comune e nell’interesse pubblico. Il prezzo da pagare, tuttavia, è alto. La segnalazione come abbiamo già detto spesso diventa oggetto di un processo, che come sappiano in Italia ha tempi lunghi e incerti. In questo frangente per chi ha segnalato comincia un calvario con pressioni personali sul luogo di lavoro, con il rischio di essere licenziati, in tempi brevi e certi. Occorrerebbe evitare al segnalante quest’ultima probabilità.
Come porre rimedio?
Garantendo la massima tutela legale per i whistleblowers. Non escludere, nei casi più gravi, di includerli nei programmi di protezione dei collaboratori e dei testimoni di giustizia. Sicuramente importante è il divieto di rivelare l’identità del segnalante che deve restare coperta dal segreto sia nell’ambito di un procedimento penale (ex art. 329 c.p.p.), sia nel procedimento dinanzi alla Corte dei Conti (almeno fino chiusura della fase istruttoria). La legge deve evitare che ci siano ritorsioni sul posto di lavoro. Ancora più importante è garantire la possibilità ai whistleblowers di incassare parte dei proventi recuperati da chi ha frodato, di risarcirli per il rischio che si sono assunti nell’aver denunciato per primi la frode. Tale aspetto sarebbe indispensabile, poiché senza di esso la legge difficilmente decollerà.
Secondo lei dopo quattro anni dalla sua entrata in vigore si può tracciare un bilancio positivo?
Se prendessimo ad esempio gli Stati Uniti, dove con lo stesso istituto, dalla sua nascita nel 1990, sono stati recuperati alle casse dello Stato oltre settanta miliardi di dollari mediante circa ventimila cause, dovremmo dire che il nostro bilancio pur se prematuro è attualmente negativo. In Italia una simile denuncia è un atto di coraggio, negli Stati Uniti è invece un dovere, sentito dal cittadino come tale. In America il segnalante è un eroe, qui da noi è una spia.
L’Italia di oggi è pronta per questo nuovo istituto secondo lei?
Non credo lo sia ancora, ma occorrerà lavorare con impegno sul piano culturale, etico, politico ed economico. Questa legge se ben propagandata nella collettività dà un’opportunità alle persone di fare la cosa giusta, soprattutto a chi lavora in settori vulnerabili alle frodi, come le infrastrutture e la sanità che come abbiamo visto in tempi di pandemia hanno sofferto che per la corruzione che le pervade.
Questo strumento può avere efficacia anche nella lotta alla criminalità organizzata?
Assolutamente sì. Corruzione e criminalità organizzata ormai sono due facce della stessa medaglia. Sradicare e prevenire la corruzione e le frodi ai danni dello Stato e nella pubblica amministrazione è senza dubbio alcuno un elemento fondamentale nella lotta alle mafie. Il problema non è quello di avere il coraggio di denunciare ma soprattutto, che alla denuncia, debba poi seguire la massima vicinanza da parte dello Stato intervenendo con ogni mezzo idoneo alla tutela del denunciante e dei suoi familiari.
Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E' ricercatore dell'Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.