Roma - Il telegiornale irrompe ogni giorno con il disastroso terremoto in Turchia e in Siria. Quarantacinquemila vittime, non si è mai sentito. Il più grande disastro naturale. Scavano e scavano, cercano superstiti. La speranza è viva, pulsante ma sono 252 ore dall’evento.
Chi può resistere tanto?
La voce arriva potente, forte, lo hanno appena estratto. È un uomo di trenta, quarant’anni. È su una barella, lo avvolgono in una coperta ma lui si tira su… “Sto bene, tutto a posto, sto bene! Come sta la mia famiglia, fatemi parlare con loro.”
Resto bloccata sentendo quella voce, chiara, limpida nel suo essere appena un po' roca. Quella forza che non vuole dimostrare niente a nessuno ma spara la sua urgenza di rassicurare i suoi, di sapere se stanno bene. Quella vita così umile, profonda e sincera che non pensa di essere un miracolo ma si preoccupa degli altri. Dieci giorni sotto le macerie.
Ma come si sta? Cosa si prova?
Mi sono sentita piccola piccola nel mio mondo tranquillo e ripetitivo, garantito e confortevole… nonostante il cancro.
Quali possono essere i pensieri che lo hanno accompagnato per più di dieci giorni da un’alba all’altra, senza acqua, senza mangiare, incastrato sotto terra. Solo.
Quanta speranza in un solo uomo!
Quanto forte è stata la sua convinzione di potercela fare, di riuscire a uscire, di credere fermamente che avrebbe riabbracciato la sua famiglia.
Ma la paura, la paura deve avergli fatto una bella compagnia, la paura della notte, del freddo, di non essere trovato. La paura dell’attesa della fine. Si, sicuramente c’è stata, ma ha resistito, è stato più forte, più determinato, più convinto di farcela. La sua voce, le sue parole “Sto bene, tutto bene” raccontano questo. E lo raccontano a noi da quest’altra parte che a volte lasciamo alla paura spazi che non merita. Diamo la mano alla paura e le facciamo vivere la nostra vita.
Lui ha parlato con la sua paura, con la stanchezza, le ha raccontato la sua speranza di farcela, la sua convinzione di uscire e vedere il cielo ancore e ancora. Il giorno che nasce. Di vivere ancora. L’ha messa a tacere, di lato, in disparte.
Le ha tolto la forza di trascinarlo parlandoci. Raccontandogli chi era e cosa voleva fare. E così quell’urlo dal centro della terra “Sto bene, tutto bene, come sta la mia famiglia, fatemi parlare con loro” le ha potute dire.