Report, nella puntata di lunedì 26 aprile, ci ha mostrato il "curioso" parallelismo nella gestione dei dati del contagio da coronavirus tra due regioni: Sicilia e Veneto.
Di quanto accaduto in Sicilia lo sapevamo perché se ne è occupata la magistratura, che ha accusato alcune persone al vertice della gestione della sanità di aver falsificato i dati sui decessi e sui contagi "spalmandoli" su più giorni, in modo da far apparire la situazione del contagio in Sicilia meno grave di quella che era nella realtà. Facendo così il Cts, in base ai dati forniti, la poteva includere tra le aree in zona gialla.
Invece, di quanto accaduto in Veneto, ce lo ha rivelato Report. Nella trasmissione andata in onda ieri, una testimone che si occupava del tracciamento delle persone positive ha dichiarato che queste erano indicate nel database come asintomatiche già prima che venissero contattate dagli operatori. In una delle sue videoconferenze su Facebook, il presidente del Veneto, Luca Zaia, dichiarava che nonostante l'alto numero di positivi presenti in regione, per il 95% si trattava di asintomatici.
Non solo, Report ha poi fatto presente che il Veneto indicava come disponibili negli ospedali della regione un totale di 1.000 posti di terapia intensiva, mentre in realtà la disponibilità reale, anche in base al personale medico necessario alla gestione delle terapie intensive, era di 700.
Questi due dati, utilizzati dal Cts per stabilire l'andamento del contagio e la sostenibilità del sistema sanitario, hanno consentito al Veneto di rimanere in fascia gialla, quando avrebbe dovuto essere in fascia arancione o rossa per meglio contenere la diffusione del contagio.
Quali sono state le conseguenze? Che nel periodo della seconda ondata le attività commerciali del Veneto sono rimaste aperte, gli ospedali si sono riempiti ed il numero di decessi è risultato il più alto in Italia.
Oltra a questo, c'è da aggiungere un altro fatto denunciato da Report, che riguarda l'utilizzo in Veneto dei test antigenici rapidi per verificare la positività o meno di una persona al SARS-CoV-2. Questi test non hanno bisogno di personale qualificato e danno il risultato in poco più di mezzora.
A settembre 2020 il prof. Andrea Crisanti, che fino a quel momento era stata una delle eccellenze sbandierate da Zaia nel contrasto alla pandemia, condusse un approfondimento diagnostico sui "tamponi rapidi" rilevando che avevano una affidabilità del 70%, mentre la casa produttrice assicurava oltre il 90%.
Report ha scoperto che i primari che erano al corrente dei risultati ottenuti da Crisanti, e che avrebbero voluto sconfessare la strategia seguita della Regione Veneto, sarebbero stati minacciati perché affermassero che quello studio non era mai esistito. Anche il direttore generale della sanità veneta ai microfoni di Rai3 ne ha negata l'esistenza, salvo poi in un fuori onda dichiarare l'esatto contrario.
I test rapidi sono stati usati anche per verificare la positività del personale sanitario, anche di quello operante nelle RSA. Le conseguenze sono state catastrofiche.
Al di là di responsabilità civili e penali che la magistratura potrebbe riscontrare a seguito dell'inchiesta di Report, vi è un altro aspetto da sottolineare, oggettivamente evidente: l'aver voluto ignorare l'andamento del contagio per favorire le riaperture ha causato un incremento del numero di morti.
Oggi, il segretario del partito a cui appartiene Zaia, promuove il liberi tutti alla faccia di quelle che potrebbero essere conseguenze veramente tragiche:
Adesso, come direbbe in casi simili Luca Zaia, "ragionateci sopra!"