Maestro, dopo il cd dedicato alle Ouvertures di Cimarosa, passa a Paisiello e con una nuova registrazione integrale dell'opera più conosciuta del musicista tarantino, “Il barbiere di Siviglia”. Come mai questa scelta non del tutto inedita nel mercato discografico?

Effettivamente, Giovanni Paisiello è oggi conosciuto quasi esclusivamente per essere il musicista che precedette Rossini nella composizione di un “Barbiere di Siviglia” o che ha seguito Pergolesi nella composizione di una “Serva Padrona” e già, solo per questo, considerato leggermente sfigato. Tutti conoscono quasi a memoria almeno i brani più celebri del capolavoro rossiniano, ma quasi nessuno ha mai ascoltato una nota dell'opera composta dal grande precedessore, che non è affatto uno sfigato, ma uno dei compositori più dotati e influenti del proprio tempo. Eppure Rossini, nella beata sfrontatezza e incoscienza giovanile – aveva 24 anni quando compose il suo Barbiere – ebbe un certo timore (o finse di averne) nell'intraprenderne la riscrittura dopo l'enorme successo ottenuto dalla versione di Paisiello. Il compositore tarantino, in più, era ancora in vita all'epoca del debutto del lavoro rossiniano (anche se morirà pochi mesi dopo) ed era già considerato dai propri contemporanei, al pari di Cimarosa (nel 1816, anno del debutto del Barbiere rossiniano, già defunto da quindici anni), un mito. Contemporaneamente, a quell'altezza cronologica, Rossini era da tutti considerato una sorta di Cimarosa resuscitato.
Rossini e Sterbini (il librettista) si affrettarono ad anteporre al libretto stampato in occasione del debutto della loro Barbiere (Roma,Teatro Argentina, 1816) un “Avvertimento al pubblico” nel quale si dichiaravano grandi ammiratori dell'anziano maestro pugliese e del suo “Barbiere”, che debuttò a San Pietroburgo nel 1782, e tentarono, con questo un po' spudorato e goffo escamotage, di imbonirsi il pubblico. Inoltre, per farla ormai sporca del tutto, cambiarono pure il titolo del lavoro che debuttò come“Almaviva, ossia l'Inutil precauzione”.
Il fiasco, come tutti sanno, però ci fu e la prima del “Barbiere di Siviglia” di Rossini fu un vero e proprio disastro che la storiografia ha sempre, ingiustamente, attribuito totalmente alla clacque organizzata dai fans di Paisiello che, comunque, al pari del loro idolo, non presero troppo bene l'iniziativa del giovane compositore pesarese.
Sterbini e Rossini si rifecero quasi totalmente al precedente modello: non solo, in taluni casi, riutilizzando interi versi del libretto, ma soprattutto ricalcando modelli formali e retorici adoperati da Paisiello. (Un esempio su tutti: la struttura della celebre aria della “calunnia” rossiniana ricalca fedelmente la retorica utilizzata per primo da Paisiello, con tanto di crescendo, improvvisi fortissimi orchestrali, e orchestra che sottolinea, con onomatopeica ridondanza, il significato delle parole, quasi anticipando la tecnica del Mickey Mousing usata nella musica per film).
Ho quindi di buon grado accettato l'invito a incidere “Il barbiere di Siviglia” di Paisiello, con l'intento principale di far conoscere al pubblico un capolavoro ammirato, per dire, da un certo Mozart (che ne trasse spunto per ideare, assieme a Lorenzo da Ponte, “Le nozze di Figaro”) e osannato dal pubblico del tempo. Anche in questo caso, come ho già avuto occasione di dire relativamente al CD con le Ouvertures cimarosiane, se il pubblico di allora decretò un successo enorme e duraturo all'opera di Paisiello, ci sarà un perché. A noi musicisti il compito di proporre tale “perché” al pubblico, compito del pubblico scoprirlo e goderne.

Data la sua preparazione musicologica, possiamo parlare di esecuzione filologica?

Intendiamoci subito: la locuzione “esecuzione filologica” è errata. La filologia, come disciplina, ha a che fare esclusivamente con lo studio di testi. A un'esecuzione musicale, a un avvenimento spettacolare o a una performance teatrale non si possono applicare criteri filologici, perché la filologia serve ad altro. Non si può tagliare con un cucchiaio: ogni azione deve essere realizzata con lo strumento adeguato. Al massimo, per ciò che riguarda un'esecuzione musicale, si può parlare, e comunque con grande approssimazione, di “esecuzione storicamente informata” e, cioè, consapevole – ma solo parzialmente e senza aver mai poter avere riscontro scientifico definitivo – di come una determinata composizione musicale venisse eseguita al tempo in cui venne composta. Nel nostro caso, certo, i meravigliosi musicisti di Harmoniae Templum suonano su strumenti musicali dell'epoca; insieme a loro ho tentato di ricostruire (sempre basandomi su testi del passato che ne hanno tramandato le tecniche) le articolazioni, i fraseggi, i metodi di attacco e di sostegno del suono dell'epoca. Stesso lavoro è stato fatto, con mia grandissima soddisfazione, con i cantanti, che hanno recuperato tutta una serie di elementi fondamentali per l'esecuzione dell'opera buffa italiana del Settecento: un certo tipo di tecnica di canto, l'aggiunta di variazioni e cadenze non scritte dal compositore, il risalto del testo letterario nell'esecuzione dei recitativi (che nella nostra esecuzione sono accompagnati da fortepiano, violoncello e contrabbasso). Eseguire un'opera in maniera “storicamente informata” significa avvicinarsi il più possibile allo spirito dell'epoca, ma con la ferma e intellettualmente onesta consapevolezza da parte dell'interprete che, se molti elementi costitutivi della prassi di allora sono recuperabili, altrettanti sono perduti per sempre. Nel caso di un'opera italiana del Settecento, significa, in particolare, considerare la partitura del compositore non la testimonianza della definitiva volontà dell'autore, ma come un testo su cui gli esecutori devono, entro limiti, quelli sì, filologicamente corretti, operare – come accadeva allora - quasi una sorta di “ricomposizione musicale controllata”, interpolando e sovrapponendo al testo tutta quella serie di elementi musicali che al tempo non erano scritti nelle partiture, ma che facevano parte integrante della prassi esecutiva.

Cosa vorrebbe che il pubblico cogliesse dalla sua intepretazione e da quella dei cantanti e musicisti da lei guidati?

Il puro divertimento che ha animato la nostra interpretazione e le giornate passate insieme alla musica di Paisiello. “Il barbiere di Siviglia” è un'opera di straordinaria fattura. La mia interpretazione, sollecitata anche da Rc Record Label, grande promotore di questa iniziativa discografica, spero risulti spigliata, divertente, e mi auguro che non conceda mai all'ascoltatore un attimo di noia. Abbiamo inserito rumori d'ambiente, macchine del vento, alcuni movimenti on space dei cantanti quasi per simulare una reale rappresentazione teatrale. Sicuramente verrò rimproverato da alcuni miei colleghi di aver staccato, in alcuni casi, dei tempi troppo stretti o di aver eccessivamente stravolto la partitura con cambi di tempo improvvisi – non scritti dall'autore -, e con aggiunte dinamiche. Tutto però fatto consapevolmente, nel pieno rispetto dell'autore e nella conoscenza, ormai consolidata da una decennale esperienza di musicologo e saggista, della prassi dell'epoca. Tanto di più abbiamo eseguito rispetto a ciò che Paisiello solo accenna in partitura, ma con la mia personale convinzione, forse presuntuosa, che Paisiello avrebbe assecondato le nostre scelte o, almeno, il gusto che le ha animate. Lo scopo dei compositori del Settecento non era certo l'assicurare a se stessi fama imperitura, ma divertire il pubblico del loro presente.
E' un “Barbiere” molto movimentato e ricco di colori, il nostro. Forse non eccessivamente ortodosso, ma sicuramente divertente, brioso e giovanile (e per questo, per usare un termine errato ma in questo caso efficace, molto filologico). Non parlo per me, che ho ormai quasi 42 anni, ma per i miei straordinari compagni d'avventura (professori d'orchestra e cantanti che non superano i 35 anni d'età). Durante le prove, prima delle sessioni di registrazione, abbiamo spesso dovuto interrompere e riprendere da capo, perché ci scappava da ridere, sollecitati dal testo di Paisiello e dalle situazioni comiche insite nell'opera, come se fossimo protagonisti di un film di Totò. Ecco, tutta questa gioia di fare musica, di divertirci con un'opera piena di spunti brillanti e feconda di idee vorrei che entrasse nell'anima dello spettatore durante l'ascolto.

Tagli nella partitura?

Nessuno. Nemmeno una nota di recitativo è stata tagliata. Siamo, fortunatamente, nell'ambito di una registrazione discografica e non in scena, quindi si può fare. Considero la registrazione discografica come una specie di documento scientifico il cui compito è quello di consegnare all'ascoltatore l'integrità di un lavoro, così come fu concepito dall'autore, senza però rinunciare per questo alla genuinità e alla vivacità di un'interpretazione, che deve comunque rimanere “carne e sangue” e non solo sterile e freddo resoconto.
Ci saremo riusciti? Non lo so. Lo spero. Noi ci siamo divertiti, e voi?

Interview by Anne Chapman
Italian Translation by Lorenzo Grimani