Repetita iuvant. Ciò che i 5 Stelle pubblicizzano come reddito di cittadinanza non è il vero reddito di cittadinanza. L'ho già scritto, l'ho già spiegato e lo ripeto:
il reddito di cittadinanza è un trasferimento di denaro senza condizioni, sia rispetto sia alle risorse economiche di ciascun individuo, sia rispetto alla sua disponibilità o meno a lavorare.
Quello illustrato dai 5 Stelle è un supporto al reddito per chi è senza lavoro e per chi ha una situazione patrimoniale tale da non avere sufficienti risorse per il proprio sostentamento e per quello dei propri familiari.
Questa è la descrizione che ne dà lo stesso Movimento 5 Stelle:
Il reddito di cittadinanza permette non soltanto di abbattere la povertà e le disuguaglianze, ma anche e soprattutto di riqualificare la forza lavoro: in Italia, oltre ai 2,8 milioni di disoccupati ufficiali, ci sono 3 milioni di lavoratori “scoraggiati” che l’Istat considera come forze di lavoro potenziali. Permettendo a molti di questi lavoratori di formarsi tramite i centri per l’impiego che riformeremo, aumentiamo la produttività del lavoro ed il nostro PIL potenziale, rispondendo anche alla necessità sollevata dal Pilastro europeo dei diritti sociali siglato nel 2017, che richiede a tutti i paesi europei di dotarsi dello strumento del reddito di cittadinanza.
Quindi, al di là del nome volutamente o sbadatamente errato, il reddito di cittadinanza dei 5 Stelle è un sussidio per il reinserimento nel mondo del lavoro.
A questo punto, però, diventa ingiusto e illogico - lasciando a chi ne è esperto le problematiche di costituzionalità - che tale provvedimento sia limitato ai soli cittadini italiani e non esteso anche ai residenti in Italia che possono essere non solo immigrati con regolare permesso di soggiorno o rifugiati in attesa di ottenere asilo, ma anche cittadini dell'Unione europea.
Ieri Di Maio ha ribadito a proposito di tale reddito, che - ripeto - in realtà dovrebbe esser chiamato sussidio, che
«è chiaro ed evidente che con i flussi migratori che ci sono in Italia è impossibile fare una misura come il reddito di cittadinanza senza sapere quale sia la platea. È logico che la devi restringere ai cittadini italiani. La prima formula era molto vaga e apriva a questa possibilità [di estenderlo a tutti, ndr.], ma l’abbiamo corretta nel 2016.»
Naturalmente, l'altro vicepremier del Governo, Matteo Salvini, ha applaudito alla precisazione, comunque inutile, visto che ciò era già indicato nel contratto di Governo.
Però, dato che stiamo parlando di un sussidio di (re)introduzione nel mercato del lavoro, perché questo dovrebbe essere limitato ai soli cittadini italiani e non anche ai residenti?
Matteo Salvini ha più volte dichiarato di non essere razzista e di essere dalla parte degli immigrati regolari. Bene.
Allora, perché, un immigrato regolare che da anni vive e lavora in Italia con tutti i permessi necessari dovrebbe essere escluso dal provvedimento? Anche soprattutto pensando a coloro che nel nostro Paese hanno avuto figli che ormai frequentano da anni le nostre scuole.
Che cosa hanno a che fare queste persone con le dichiarazioni approssimative e abborracciate del signor Di Maio riportate in precedenza?