La scorsa settimana, con l'approvazione di Trump, l'ambasciatrice Usa all'Onu, Nikki Haley, ha fatto sapere che nel caso in cui l'assemblea delle Nazioni Unite avesse votato contro la decisione degli Usa di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, lei avrebbe preso i nomi dei paesi che avrebbero votato a favore di tale decisione e che gli Usa avrebbero tagliato i fondi alle Nazioni Unite.

Avvertimenti che in pochi hanno preso sul serio, visto che il voto dell'assemblea Onu è stato largamente a sfavore di Usa e Israele. Il voto dell'assemblea è stato una sconfessione della miopia della politica estera degli Stati Uniti, ammesso che tale politica esista e non sia invece una specie di semplice lavagna su cui sono elencate le nazioni cui fare favori e quelle cui far danni. All'epoca di Trump, nessuna ipotesi, anche la più ridicola, è da escludere.

All'inizio di questa settimana, la delegazione Usa all'Onu ha annunciato che taglierà di 285 milioni di dollari i fondi destinati alle Nazioni Unite per il biennio 2018-2019.

L'annuncio riportava le parole dell'ambasciatore degli Stati Uniti all'Onu, Nikki Haley, che ha definito "inefficienti" le Nazioni Unite, dichiarando che i negoziati che vi si svolgono hanno come risultato quello di diminuire il sostegno alle scelte politiche statunitensi.

Pertanto, l'ambasciatrice Haley ha aggiunto che la missione degli Stati Uniti non permetterà più che la generosità del popolo americano venga sfruttata o non abbia alcuna tutela.

Questa la "democratica" reazione degli Usa al voto dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite - che ha bocciato la decisione dello scorso 7 dicembre in cui il presidente americano Donald Trump riconosceva Gerusalemme come capitale di Israele - con il voto contrario di 128 Paesi, contro 9 favorevoli e 35 astenuti.