Ha fatto molto discutere la notizia pubblicata recentemente da la Repubblica e subito rilanciata da molti altri quotidiani, riguardo la foto fatta in campagna elettorale per le regionali 2017 nella caffetteria Aurora di Palermo di proprietà del boss Giuseppe Corona (ritenuto dalla Dda il "re" del riciclaggio della mafia del dopo Riina), da Luigi Di Maio e Giancarlo Cancelleri con Fabio Bonaccorso, cognato del mafioso.
In un primo momento era stato detto che lo “scatto” (pubblicato sulla pagina Facebook della caffetteria) ritraeva i due leader del M5s insieme a Corona, notizia immediatamente smentita da Cancelleri visto che del boss nella foto non c’era nemmeno l’ombra.
In realtà poco importa con chi sia stata fatta la foto, considerato che l’arresto di Corona assieme ad altre 27 persone avvenuto a seguito di un’inchiesta della procura di Palermo ed effettuato il 16 luglio scorso, cioè nove mesi dopo lo “scatto”, prova che i due leader del Movimento non potevano certo sapere con chi avessero a che fare, e poco importa chi dei due cognati fosse realmente intestatario dell’attività dato che non è certo l’intestazione della licenza o la proprietà del locale a rendere diversa la natura dei fatti.
Lo “scatto”, come accade spesso alle foto di personaggi noti pubblicate su Facebook, è diventato subito virale, ma a trasformarlo in una vera e propria notizia è stata la Repubblica, che appena venutane a conoscenza ha pensato bene di darlo in pasto ai suoi lettori, cosa che però non deve essere piaciuta molto visto che l’effetto dopo un apparente impatto iniziale che lasciava presagire uno scandalo di portata epocale è stato pari a quello di un paio di rutti malriusciti.
A sollevare il polverone ci hanno provato, ma il vento, purtroppo per loro, non gli è stato favorevole e glielo ha rimandato indietro. Tuttavia la notizia non poteva mancare di essere ripresa e riproposta attraverso i social da qualche politico “disinteressato”.
"Di Maio con il presunto tesoriere della nuova mafia. Può capitare. Ma per una foto simile l'ex ministro Poletti è stato massacrato dalla propaganda M5s…” scrive su Twitter Maria Elena Boschi (tweet rilanciato da Matteo Renzi a sostegno dell’ex sottosegretaria e amica) alludendo ai presunti rapporti nel 2010 tra Giuliano Poletti e Salvatore Buzzi, presidente di un grande consorzio di cooperative vicine alla Legacoop e braccio destro del boss Massimo Carminati, omettendo di dire però che in quel caso non si è trattata di una semplice foto, ma di una cena organizzata da Buzzi per “i politici che ci sono a fianco”.
“A personaggi pubblici” dice la senatrice piddina Valeria Sudano “può succedere, è capitato di fare foto con persone compromettenti. Ma mi chiedo: se al posto di Di Maio ci fosse stato un dirigente del Pd quale sarebbe stata la reazione sulla rete del M5s?".
La domanda, legittima, è pertinente, oltre che perspicace, e richiede una risposta ben ponderata: se il dirigente del Pd fosse stato un uomo integerrimo, dalle dimostrate qualità morali, dalla indubbia rettitudine e incorruttibilità, ritengo, per quella che è la mia idea sul M5s che non sarebbe accaduto proprio nulla, nel Movimento, infatti, non ci si schiera contro i partiti politici ma solo contro le persone disoneste, non importa se di sinistra, di destra o di centro; se invece il dirigente del Pd fosse stato, giusto per fare un esempio, uno dei 102 indagati (qualcuno si ricorderà il titolo eloquente pubblicato da il Fatto Quotidiano “Pd, la nuova carica dei 102: tutti gli indagati, regione per regione”) tra sindaci, governatori, consiglieri ed esponenti del partito sul territorio, beh… permettetemi di dire che, anche una misera fotina avrebbe potuto ingenerare qualche comprensibile dubbio. Il problema quindi non sono le foto, ma le persone, che a differenza delle prime sono in grado di esprimere qualità reali e inconfutabili.
“Il tesoriere della nuova mafia a braccetto con Di Maio” dichiara la deputata piddina Alessia Morani, lasciando supporre tra Di Maio e il boss un incontro atto a suggellare inenarrabili affari mafiosi piuttosto che una semplice foto scattata su richiesta, così come capita a tutti i personaggi pubblici. Una descrizione alterata dei fatti giocando sull’uso delle parole, tipica della classe politica piddina.
"Gli esponenti del M5s” scrive invece su Twitter il senatore Piddino Ernesto Magorno “non hanno nulla da dire? Servirebbe un chiarimento immediato".
E qui la questione si fa seria, la richiesta di Magorno è categorica, data la gravità dei fatti occorre dare una spiegazione in tempi brevissimi, proprio come ha fatto lui da quando a Diamante, Comune dove è stato sindaco, circolano voci (ma più che voci sembrerebbero certezze) che Ernesto Magorno sia coinvolto in vicende mafiose, motivo per cui alle elezioni politiche del 2018 risultava tra gli incandidabili; candidato ovviamente lo stesso… ed eletto.
A lui il quotidiano d’informazione on line Iacchite’.it ha dedicato due clamorosi articoli dal titolo “Politiche 2018: Magorno è impresentabile, su di lui pesanti accuse di mafia” (17.01.2018) e “Politiche 2018, la parabola “mafiosa” di Don Ernesto Magorno” (02.03.2018) dove viene accusato apertamente di essere affiliato al clan Muto, una ‘ndrina di Cetraro coinvolta illegalmente nel settore turistico, nel mercato ittico e nel traffico di droga nel cosentino con ramificazione nell'area campana del Cilento. Tutto ciò per precisare da quale pulpito viene la predica.
Giancarlo Cancelleri, nella sua pagina facebook esprime tutto il suo disappunto per la notizia falsa e tendenziosa e si difende dalle accuse, dalle insinuazioni che vengono fatte nei confronti suoi e di Di Maio: "Non esiste nessuna foto con me e il boss arrestato oggi, ricordo che quel giorno ero con Luigi Di Maio ed ero stanco morto per la campagna elettorale, c'era un caldo soffocante, la cravatta mi stringeva il collo, verso l'una passavamo da quel bar e ho detto: 'Luigi, entriamo a prenderci un caffè'. E così abbiamo fatto. Appena entrati, il gestore ha detto 'Che piacere vedervi qui, facciamoci una foto', e così abbiamo fatto. Ma io non sono mai andato, né prima né dopo in quel bar…”
Viene da chiedersi perché mai una persona perbene come Cancelleri, alzandosi dal letto una mattina come tante, si trovi costretto a difendersi da accuse infamanti senza aver fatto nulla di male, e perché mai un giornale come la Repubblica si sia ridotto a vivere di queste bassezze. Ma questo è un argomento che ci porterebbe lontani.
Ciò che dispiace invece è dover constatare che a perderci siano sempre gli italiani, che vengono continuamente destabilizzati nelle idee, illusi e disillusi da notizie partigiane e per questo imprecise o tendenziose se non addirittura false. Certo, in un Paese in cui le cronache locali e nazionali parlano continuamente di rapporti tra politica e mafia, centinaia di politici risultano indagati, decine di Comuni sono stati sciolti per infiltrazioni mafiose, in cui la nostra memoria ha ancora vivo il ricordo dei numerosi politici disonesti e corrotti del passato che con le loro malefatte hanno contribuito ad affossare l’Italia, come impedire ai cittadini di non fidarsi più della politica, degli uomini che la rappresentano?
Mi viene in mente il famoso film La regola del sospetto interpretato da Al Pacino, dove la norma è “niente è ciò che sembra” e “non fidarsi di nessuno”, quindi sospettare, sempre, comunque e a prescindere. Ma il cinema è finzione a differenza della vita reale dove ogni azione produce un effetto e quindi tutto deve essere ponderato, valutato per quello che è veramente, senza ipocrisie, senza mezzi termini, con coerenza e onestà, principi che stridono fortemente con la notizia riportata da la Repubblica, che prova ad associare le figure di Di Maio e Cancelleri alla mafia, a farlo con la gretta e meschina consapevolezza che nulla, neanche il pensiero possa unire le due cose, eppure lo fa: una notizia inconsistente, vacua, vuota di verità, di dignità, data al solo scopo di danneggiare l’immagine di due leader politici, di togliere ai cittadini la speranza di credere in chi la politica vuole farla onestamente, in chi con i corrotti, i corruttori, i mafiosi, i ‘ndranghetisti, i camorristi non vuole averci a che fare, anzi prova a combatterli con tutte le proprie forze.
Sappiamo bene cos’è la mafia e di cosa vive: droga, prostituzione, scommesse clandestine, appalti truccati, corruzione ecc. E sappiamo anche cos’è disposta a fare pur di mandare avanti i propri sporchi affari: gli eroi che l’hanno combattuta, molti dei quali morti ammazzati e che l’Italia intera ha pianto, sono la prova di quanta violenza, crudeltà, ferocia, spietatezza, disumanità è insita nella natura della mafia.
Com’è possibile associare tutto questo a chi notoriamente sta dalla parte opposta, a chi la mafia la combatte lottando contro i poteri forti, le caste, le diseguaglianze sociali, ambiti in cui più facilmente s’annida?
Il Movimento 5 Stelle è quel partito che ha inserito tra i venti punti del proprio programma la “Lotta a corruzione, mafie e conflitti d’interesse” che prevede la modifica del 416 ter sul voto di scambio politico mafioso, la riforma della prescrizione, il Daspo per i corrotti, gli agenti sotto copertura e le intercettazioni informatiche per reati di corruzione, a differenza di quei partiti che invece si sono fatte le leggi ad personam per permettere ai loro politici, alla politica stessa di sguazzare nel fango. Il M5s è anche quel partito che ha chiesto a Maria Piera Aiello di candidarsi alla Camera dei Deputati.
Per chi non lo sapesse, la Aiello, oggi deputata, è una testimone di giustizia vissuta per ventisette anni lontana dalla Sicilia perché affidata al servizio centrale di protezione dopo aver denunciato gli assassini del marito Nicolò Atria, figlio del mafioso Vito Atria e aver collaborato con la polizia e la magistratura e con il giudice Paolo Borsellino.
Da questo e da verità come queste dobbiamo capire qual è il rapporto che personaggi come Di Maio e Cancelleri possono avere con la mafia e non certo dalle nefandezze pubblicate da la Repubblica.