Presso l’Istituto di economia CERGE-EI di Praga si è svolta alcuni giorni fa una tavola rotonda su un tema pre-elettorale molto delicato: l’economia europea alla luce delle sfide attuali.

In realtà, trattandosi di un ente della Repubblica Ceca, l’attenzione principale dei partecipanti era rivolta alla questione sotto il profilo dell’economia nazionale, ma il discorso si può facilmente estendere a tutto il Vecchio Continente.

Il CERGE-EI è un istituto legato all’Università Carolina e al Dipartimento dell’Istruzione di New York. Per l’occasione si sono presentati tre ministri del governo ceco e professori di diverse università, fra cui spiccano la Humboldt di Berlino e poi Princeton e Berkeley.

Posto che le imminenti elezioni europee e poi quelle americane di novembre potrebbero essere punti di svolta determinanti per i futuri sviluppi a livello globale, ciò che minaccia da qualche tempo la nostra prosperità è rappresentato da almeno un paio di fattori.

Anzitutto i pesantissimi costi di produzione e dell’energia, che affliggono il tenore di vita dei cittadini e la concorrenzialità delle aziende. Così, si può scappar via dall’Europa e va a produrre dove costa di meno e dove ci sono maggiori prospettivi di stabilità e crescita. La BASF, ad esempio, il colosso tedesco della chimica, a suo tempo aveva già annunciato di voler tagliare le proprie attività nel continente e di aprire impianti in Cina.

Poi c’è la politica di Washington, spietata e interessata esclusivamente agli interessi nazionali: nel perseguirli non si fa problemi a premere sugli “alleati” europei, a costringerli a determinate condotte nei propri affari e a praticare il protezionismo.