Domenica manifestazione a Teheran contro Trump e gli Stati Uniti, da lunedì esercitazioni militari, dichiarazioni di scherno da parte dei vertici dello Stato... questa la risposta iraniana all'inasprirsi delle sanzioni Usa, che adesso riguardano anche la vendita del petrolio estratto da Teheran. L'accordo del 2015, siglato da Obama, è ormai lettera morta, almeno per quanto riguarda l'amministrazione Trump, mentre gli altri Paesi che lo hanno siglato - e tra questi Cina, Francia, Russia, Gran Bretagna e Germania - continueranno a rispettarlo.

Nel frattempo, si inaspriscono anche le tensioni tra Iran e Israele, accusata dal governo iraniano di aver avviato nelle scorse ore un attacco cibernetico a danno delle infrastrutture di comunicazione dell'Iran.

Da capire quanto queste nuove sanzioni potranno peggiorare l'attuale situazione economica iraniana, non certo florida, e se contribuiranno a minare ancor di più la credibilità dell'attuale classe politica o a rafforzarla, indirizzando il dissenso della popolazione iraniana contro gli Stati Uniti.

Di certo, Teheran minimizza l'impatto della stretta sulle proprie esportazioni petrolifere, anche perché alcuni dei Paesi che attualmente sono "ottimi clienti" dell'Iran sono stati esentati da Trump dal non acquistare greggio iraniano. Così Turchia, India, Iraq, Corea del Sud, Cina e Italia, per un tempo non definito dalla Casa Bianca, potranno continuare ad avere rapporti economici con la Repubblica Islamica.

L'Iran è sempre stato considerato da Israele come una minaccia potenziale alla stabilità dello Stato ebraico. Ancor di più oggi, con la presenza di alcuni reparti delle sue forze armate dislocati stabilmente in Siria. Quindi, qualsiasi iniziativa di Israele nei confronti di Teheran deve essere considerata anche come opzione per favorire un possibile mutamento dell'attuale status quo per poter rendere giustificabile un attacco militare. Per cui, da non escludere che le nuove sanzioni volute fortemente da Trump non siano da spiegare anche nell'ottica esclusiva di compiacere una richiesta proveniente da Tel Aviv.

Infatti, è difficile capire quale sia il fine ultimo che gli Usa vogliono raggiungere con il ripristino delle sanzioni, se un nuovo accordo sullo sviluppo del nucleare in Iran o se un rovesciamento dell'attuale sistema politico, anche in considerazione delle contrastanti dichiarazioni all'interno dell'amministrazione Trump.

Certo è che, qualunque sia il loro impatto, non contribuiranno certo a migliorare la già pessima situazione economica del Paese. Ma, come logica vuole in casi simili, se gli ayatollah vedessero a rischio il loro potere, aumenterà vertiginosamente anche la possibilità di un conflitto in Medio Oriente. E questa non sarebbe comunque una buona notizia... per nessuno.