La visita del Papa in Myanmar, una speranza per i giovani di quel Paese
Il Myanmar è un Paese ricco di risorse naturali, ma l’80% della popolazione birmana è da considerarsi povera, e addirittura metà di questi poveri vive in povertà assoluta.
A quello della povertà si aggiunge anche il problema dell'educazione, perché non è capillare e non riesce a coprire adeguatamente il Paese in cui in molte zone i bambini non hanno la possibilità di accedere ad un sistema educativo, oltre al fatto che quelli che invece vi accedono non terminano il percorso didattico. Le conseguenze negative di tutto ciò sul lavoro e sullo sviluppo economico del Paese sono facilmente immaginabili.
La Chiesa cattolica, negli anni, ha sempre operato in Birmania per offrire un sistema educativo che compensasse le mancanze e le lacune di quello nazionale. Prima del regime militare, erano state create delle strutture affiancate alle parrocchie dove ai bambini veniva garantita la formazione che lo Stato avrebbe dovuto dare loro.
Durante il regime quasi tutte queste strutture furono nazionalizzate, ma recentemente il cardinale Charles Bo ha reclamato che tornassero sotto il controllo della Chiesa circa 30 delle scuole legate alle parrocchie di Yangon. È un nuovo inizio per ritornare a dare speranza ai giovani per costruire le basi di un progresso pacifico e democratico in cui il Myanmar possa finalmente prosperare.
Ed è con queste premesse che il Papa celebrerà per i giovani una Messa nella cattedrale di Saint Mary il 30 novembre, prima di partire dall’aeroporto di Yangon per la seconda tappa del viaggio apostolico che lo porterà in Bangladesh.
Saranno 6mila i giovani presenti all'appuntamento, appartenenti ad 8 gruppi etnici diversi. All’interno della cattedrale potranno esserne ospitati solo 1.700, mentre gli altri seguiranno la Messa dai maxi-schermi allestiti al di fuori. Alcuni dei giovani pregheranno per un futuro di pace in Myanmar, a secondo della etnia di appartenenza, in lingua birmana, tamil, cinese, chin, karen e Kayar.
Un appuntamento, però, che non potrà essere vissuto completamente come i giovani avrebbero desiderato, con la possibilità di dialogare direttamente con il Pontefice per fargli delle domande e raccontare le loro esperienze. Ma i tempi imposti dal protocollo a causa del successivo trasferimento a Dacca non lo hanno consentito.
In ogni caso, padre Joseph Saw Er Khaw Htoo, il direttore della National Catholic Youth Commission, confida che Papa Francesco saprà comunque creare con loro un rapporto di vicinanza.