Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communications ha rivelato un'inedita connessione tra due patologie neurodegenerative apparentemente distinte, l'Alzheimer e la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA). La ricerca, frutto di una collaborazione internazionale tra l'Irccs Istituto Auxologico Italiano, il “Centro Dino Ferrari” dell'Università degli Studi di Milano e diversi centri tedeschi, dimostra come due biomarcatori ematici finora considerati specifici per l'Alzheimer – le proteine tau fosforilate p-tau 181 e p-tau-217 – siano significativamente elevati anche nei pazienti affetti da SLA.
Le proteine tau, note per il loro accumulo nel cervello dei malati di Alzheimer, sono state tradizionalmente associate ai processi neurodegenerativi tipici di questa patologia. Tuttavia, il nuovo studio evidenzia una sorprendente sovrapposizione: livelli elevati di p-tau 181 e p-tau-217 sono stati riscontrati anche nel sangue di pazienti con SLA, una malattia che colpisce principalmente i motoneuroni.
«Lo studio rappresenta l'espressione di un'ampia collaborazione internazionale durata anni», spiega la Prof.ssa Antonia Ratti, genetista dell'Istituto Auxologico. «Sottolinea l'importanza di investire in tecnologie avanzate per l'analisi dei biomarcatori, strumenti essenziali per scoprire informazioni inattese e ridefinire la nostra comprensione delle malattie neurodegenerative».
Uno degli aspetti più innovativi della ricerca riguarda l'origine di queste proteine tau. I dati suggeriscono che, nei pazienti con SLA, i biomarcatori potrebbero derivare dal muscolo scheletrico, tessuto direttamente coinvolto nella progressione della malattia.
«La scoperta più rilevante», afferma il Prof. Vincenzo Silani, neurologo e coautore dello studio, «è l'identificazione di una potenziale fonte muscolare per le p-tau riscontrate nel sangue. Questo rende lo studio del muscolo un elemento critico non solo per la SLA, ma anche per l'Alzheimer, aprendo prospettive di diagnosi e terapia finora inesplorate».
La presenza di biomarcatori comuni solleva interrogativi fondamentali sui meccanismi condivisi tra malattie neurodegenerative diverse. Come sottolinea il Prof. Nicola Ticozzi, neurologo del team: «Le p-tau si rivelano indicatori non esclusivi dell'Alzheimer, ma anche della SLA. Una contraddizione apparente che, in realtà, ci spinge a ripensare i confini tra patologie e a cercare denominatori comuni nei processi neurodegenerativi».
Il lavoro è anche un esempio virtuoso di cooperazione transnazionale. «La collaborazione con istituzioni tedesche, avviata anni fa», conclude il Dott. Federico Verde, neurologo dell'Istituto Auxologico, «ha permesso di sviluppare tecnologie d'avanguardia per analizzare i biomarcatori. Oggi vediamo che la neurodegenerazione è un processo unitario, con meccanismi comuni che, però, si manifestano clinicamente in modi diversi».
Questa scoperta ridefinisce il panorama della ricerca sulle malattie neurodegenerative, suggerendo che terapie mirate a meccanismi patogenetici condivisi potrebbero essere efficaci per più patologie. Inoltre, l'attenzione al muscolo scheletrico come potenziale fonte di biomarcatori promette di rivoluzionare gli approcci diagnostici, rendendoli meno invasivi e più precoci.
Mentre la scienza compie un passo avanti verso una comprensione più olistica delle neurodegenerazioni, restano aperte sfide cruciali: stabilire se le p-tau siano semplici “spettatrici” o attrici attive nel danno neuronale e chiarire come interagiscano con altri fattori patologici. Una cosa è certa: il futuro della neurologia passerà sempre più attraverso l'integrazione di discipline, tecnologie e conoscenze oltre i confini delle singole malattie.