Recovery Plan: il grande inganno
Ormai la situazione politica ed economica si sta delineando, dopo i capitoli sono arrivati gli allegati del Recovery Plan e il grande inganno è stato rivelato. La Confindustria ha mandato la lista della spesa all’attuale governo, tolte le ragnatele, sono stati presentati vetusti, inutili e dispendiosi progetti che porteranno nella fossa della decadenza questo paese.
Germania e Francia hanno programmato un futuro per le nuove generazioni mentre l’Italia è rimasta aggrappata ad un passato remoto fondato su spese inutili per realizzare progetti risalenti a 40 anni fa e oltre, l’aspetto preoccupante è che sia il M5S a farsi portavoce di un progetto – ponte sullo stretto – al quale la UE ha negato i finanziamenti nel 1987 ritenendolo non prioritario né di alcuna reale utilità: un costo iniziale di 3,8 miliardi (di lire) è arrivato a 28 miliardi (di euro) per risparmiare 1 ora sul traffico ferroviario e 2 ore per quello automobilistico, attenzione però queste aspettative sono basate su calcoli puramente ipotetici.
Questo progetto è un’avventura oltremodo pericolosa infatti la zona è ad alto rischio sismico, nello stretto vi è l’incontro tra due placche continentali in assestamento. il maremoto che distrusse Messina ed altri centri sulla costa calabrese ne è la conseguenza; la leggenda di Scilla e Cariddi narra della pericolosità di quel tratto di mare. Nel 2020 il progetto – seppur decaduto da anni – fu oggetto di una valutazione per un eventuale inserimento nel Recovery Plan. Queste sono le considerazioni del Prof. Enzo Siviero che ha visionato la relazione Gruppo di lavoro tecnico avviato dal precedente esecutivo per valutare gli eventuali sviluppi del progetto del sistema di attraversamento stabile dello Stretto di Messina:
“Da una prima lettura emerge chiaramente che ci siano voluti 8 mesi per redigere una relazione che nulla dice più di quello che già si sapeva! Non era di certo necessaria una commissione per dichiarare l’improponibilità delle soluzioni “tunnel”. Già è stato a suo tempo segnalato che nella commissione mancavano inspiegabilmente le componenti di Ingegneria Strutturale e di Urbanista Territoriale. Questa carenza emerge chiaramente nell’elaborato finale privo o quasi dei relativi riscontri. Nessun cenno alla componente territoriale già pienamente definita negli strumenti urbanistici dei comuni interessati e sulle relative azioni procedurali da svolgere nel caso si optasse per un nuovo progetto abbandonando definitivamente quello già approvato, con ripartenza da zero. Nessun cenno alla tempistica operativa pur determinante in una analisi comparativa quale era richiesta.
Nulla si dice sul fatto che con il progetto attuale si può ripartire immediatamente mentre con il nuovo progetto ci vorranno molti anni.
Nessuna valutazione di carattere economico neppure di massima, salvo indicare genericamente che il ponte a tre campate “presumibilmente” costa meno! Il che non sembra corrispondere al vero, in mancanza di uno specifico e necessario approfondimento.
Nessun cenno alle opere compensative comprese nel quadro economico del progetto approvato e che valgono 1 miliardo
Nessuna indicazione sulle ricadute occupazionali immediate e future.
Nessun cenno al contenzioso in essere con Eurolink, ai rilevanti costi già sostenuti dallo Stato e di quelli ancora da sostenere, con le palesi pesanti conseguenze di danno erariale. (Richiesti danni per € 700 milioni)
Nessun cenno alle problematiche costruttive delle pile in acque profonde con le relative criticità, ciò che nel passato, da parte dei più autorevoli esperti del settore, ha fatto dichiarare “infattibile” questa soluzione. Queste incertezze ad oggi non sembrano affatto superate. Siamo dunque di fronte alla necessità di una adeguata sperimentazione previ notevoli approfondimenti di studi e ricerche con evidente ulteriore allungamento dei tempi.
Nessun cenno alle motivazioni contenute negli atti ufficiali che hanno indotto a suo tempo a scartare anche il ponte a più campate pur essendo la prima opzione esaminata.
Nessun cenno alla elevatissima qualità progettuale del progetto approvato che non ha eguali al mondo, vanto dell’ingegneria italiana e che il mondo ci sta copiando. (Perché la UE negli anni ’80 ha rifiutato di finanziarlo?)
Nulla si dice sull’avanzatissimo monitoraggio ambientale previsto nel progetto approvato. (È tutto da vedere bene)
Nulla di dice sul progetto di dettaglio della cantierizzazione che ha risolto molte problematiche locali con l’ulteriore vantaggio di un positivo riuso dei materiali di scavo ai fini del ripascimento di litorali in pericolo.”
Il Professore Siviero non è stato informato che l’intera progettazione è stata curata da studi tecnici stranieri, pagati con denaro pubblico: in questo progetto non c’è nulla di “italiano”. L’imprenditoria italiana non può competere con le imprese americane o francesi (Vinci), può fare la voce grossa sono in Italia, all’estero deve tacere. Da tale affermazione emerge uno sconsiderato spirito esibizionistico che non considera la reale utilità e convenienza che un’opera di tal genere riveste per una collettività oberata da un debito pubblico stratosferico: è come voler rivestire l’ignudo con una costosissima pelliccia di ermellino. Le nuove generazioni erediteranno un “ermellino spelacchiato” oltre all’aumento del debito.
Per quanto riguarda il monitoraggio ambientale c’è da considerare che, nella “costumanza” italiana quello che si dovrebbe scrivere è una cosa, quello che si scrive è un’altra, quello che si realizza è diverso.
Personalmente l’elemento strategico da considerare, che dovrebbe far riflettere molto e optare per la rinuncia è la relazione dei sismologi che dichiarano apertamente di non conoscere tutte le faglie presenti nel tratto di mare per cui la progettualità non garantisce la sicurezza che è lasciata alla balia di imprevedibili eventi naturali
Anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche - ISMAR – Istituto di Scienze Marine, chiamato a dare il suo parere, nel dicembre 2020 inviava la sua relazione di cui riporto la parte introduttiva:
La presenza dello Stretto di Messina, un braccio di mare stretto e profondo che collega il Mar Ionio al Tirreno, è l’espressione di processi geologici attivi che producono un progressivo allontanamento della Sicilia dalla Calabria ad un tasso medio di 1-2 mm/anno. Questa incipiente deformazione, avviene lungo un sistema di fratture profonde, che accomoda i movimenti di convergenza tra le placche Africa ed Eurasia, in una delle aree geologicamente più attive di tutto il Mediterraneo. Sfortunatamente, questa deformazione non avviene in modo uniforme e asismico: i movimenti tettonici, anche se lenti, accumulano energia lungo i piani di faglia, e questa può essere liberata in modo parossistico nel corso di terremoti a grande magnitudo, anche oltre il settimo grado della scala Richter, come è avvenuto nel recente passato (ad es. durante i terremoti del 1908 di Messina e del 1694 di Augusta). Dal punto di vista geodinamico, lo Stretto di Messina, è un’area cruciale, nella quale avviene l’interazione tra diverse strutture tettoniche profonde ed estesi blocchi crostali che convergono, divergono e si muovono lateralmente tra loro, provocando terremoti, frane sottomarine, tsunami e vulcanesimo. È una zona di “svincolo” meccanico, una sorta di “perno” che assorbe i movimenti relativi tra i diversi blocchi, e per questo rappresenta una della aree a maggior rischio geologico del nostro Paese. Di seguito, sono indicate le principali criticità geologiche associate all’area dello Stretto di Messina, così come individuate da recenti studi multidisciplinari di geologia/geofisica marina basati su dati raccolti nel corso di alcune decadi.”
Vi evito il “di seguito” perché le premesse sono sufficientemente eloquenti. Volendo semplificare il concetto: si vorrebbe realizzare un ponte sospeso sopra una “bomba” naturale, esposto ai più imprevedibili eventi catastrofici.
Vorrebbero spendere 28 miliardi iniziali (non oso pensare al costo finale) quando la Sicilia e la Calabria hanno bisogno di infrastrutture territoriali adeguate che creerebbero veramente nuovi posti di lavoro e, contemporaneamente, finanziare uno sviluppo economico alternativo e competitivo, svincolato dal ricatto dell’imprenditoria del nord: solo così si costruisce un futuro per il centro-sud e si creano concrete prospettive professionali e lavorative per i giovani. Finanziare il ponte significherebbe offrire profitti alle imprese del nord e straniere invece tali ingenti risorse dovrebbero essere destinate alla valorizzazione delle potenzialità umane, naturali, culturali ed economiche del centro-sud. I fondi europei devono rimanere maggiormente nelle tasche dei cittadini del centro-sud.
Sono le piccole opere di manutenzione a creare posti di lavoro basta considerare in che condizioni sono ridotte le normali infrastrutture delle regioni, facciamo alcuni esempi: la Salerno-Reggio Calabria si riempie di fango ad ogni temporale, la tragica statale Jonica, i continui crolli sulle strade sulle Madonie con gravi disagi per gli abitanti dei paesi che rimangono isolati; l’autostrada Messina-Catania con una frana nel tratto di Letojanni. La statale per Sciacca che ormai è ridotta ad un’unica corsia; tutte le infrastrutture esistenti hanno bisogno di manutenzioni urgenti; vi sono ponti, viadotti e gallerie a rischio di crolli, l’elenco è troppo lungo questo significa molto lavoro per coloro che appartengono alle fasce più svantaggiate culturalmente. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che un simile piatto attira interessi illegali e questo non ce lo possiamo più permettere, la Comunità Europea non intende tollerare quanto è accaduto finora in Italia per il semplice fatto che ci sono anche i loro soldi in ballo.
Un ponte del genere ha bisogno di continue e costosissime manutenzioni che non possiamo permetterci, conoscendo “i vizzi della bestia”, poniamo le premesse per un “Genova 2”.