La pioggia di sabbia lavica che domenica 7 marzo alle 7.30  è caduta sui  paesi ionico-etnei siciliani, è stata una vera e propria  calamità naturale.  

Se piove “nero” lo scenario non è certamente quello delle albe del nord, quando  un manto di soffice neve bianca,  accompagnato dal  silenzio  anch’esso candido come i fiocchi,  ricopre ogni elemento: alle pendici e sui fianchi dell’Etna lato est, domenica scorsa  la gente si è svegliata  al ticchettio stridente dei lapilli che battevano sui vetri e sul selciato, scaricati da una densa nube nera  che si alzava nel cielo per oltre 10 km fino al mare, come fosse l’enorme pennacchio di una voragine.

Una scrosciante pioggia di sabbia vulcanica durata  circa 30 minuti, un rigurgito di pietruzze triturate, vomitate da un mostro inferocito,  ha ricoperto  ben 10 paesi (Giarre, Riposto, Mascali, Fiumefreddo, Milo, Zafferana, etc.) con 8 kg di sabbia vulcanica per metro quadrato,  una coltre nera che lascia dietro di sé  un  paesaggio surreale e grandi difficoltà agli abitanti. 

Le mascherine anticovid  servono soprattutto a non respirare le polveri sollevate  dal vento e dal passaggio delle auto, è difficile persino camminare a piedi, bisogna ricoprirsi il capo e le membra come i beduini nel deserto per evitare di inalare le pericolose ceneri. 

Mentre si cerca di affrontare la mole di lavoro necessaria alla pulizia ed allo svuotamento di tonnellate di sabbia vulcanica (dove la spostiamo?), la paura di ulteriori “piogge nere” rende vigili e sospettosi sul futuro a breve scadenza; tutti si armano di buona volontà, di  scope, pale, palette, ma la  terra  che sa di zolfo e zinco e ferro, impedisce la ripresa di una vita normale, in aggiunta ai bollettini covid ed allo stremo della popolazione.

Le parole da cancellare

  “Forza Etna” un tempo  scritta su di un muro o  sulla schiena di una felpa,   fece persino un gran clamore come titolo in prima pagina di un quotidiano e sui social di un politico donna (onorevole), ma non ricordo  chi fu l’originario autore di questa iattura. Forse  un anonimo scritteriato  che, agli inizi degli anni 80, scrisse la sua rabbia  contro i terroni sui muri di  periferia metropolitana, la frase   si fece ricordare, ebbe un seguito,  venne successivamente rispolverata  per incitare l’animosità di un Italia divisa dall’odio e dal razzismo. 

Con una scopa magica mi piacerebbe tanto cancellarla definitivamente dalla memoria collettiva, pulire la faziosità  di coloro che tifano per l’Etna e per i danni che il vulcano  cagiona con le sue eruzioni alla popolazione. La quale, con il capo chino  davanti alla sorte e muta come un pesce, evita le rabbiose esplosioni di massa, barcamenandosi davanti alle difficoltà imposte dalla natura. Con rassegnazione ed attingendo alla forza personale.  I terroni di queste parti sono fatti così.

Ricordo a chi  nell’intimo dei suoi pensieri  recita ancora “forza Etna siamo con te”, che  quando accadono fenomeni naturali di questa portata,  la parola “terrone” dai siciliani è percepita nel senso pieno della materia che li abita:  la terra  scaturisce dal ventre del vulcano per  ricordarci la grandezza e la vastità della natura, ma anche l’impotenza e gli scarsi strumenti che gli uomini hanno per evitare  calamità ed   imprevisti. 

L’Etna è terribilmente più forte ed indomabile: l’elemento predominante non è l’acqua, bensì il fuoco, la fiamma sprigionata da madre natura che non si è mai spenta nei secoli,  a pochi km. dal mare,  quando risveglia la sua ira,  l’eco del suo furore è temibilissimo per chi ha deciso di convivere con lei…