Quando la memoria storica si attenua si ripetono gli errori del passato ecco perché l’esperienza di personaggi come Nelson Mandela deve restare viva nelle nostre coscienze come nobile esempio da seguire invece oggi di lui rimane una rara bandiera arcobaleno simbolo di un sogno di libertà portato a compimento in un paese dove l’apartheid era legge.

Mandela divenne il primo presidente di colore del Sudafrica il 27 aprile del 1994 vincendo le elezioni indette democraticamente ed è stato senza dubbio il leader politico più amato del ‘900. Il segreto di tale successo risiede nelle sue esperienze di vita: militante e attivista, la sua resistenza contro il governo segregazionista del Sudafrica è durata quasi cinquant’anni, di cui 27 passati in prigione e proprio in quel lunghissimo periodo di privazione della sua libertà personale e isolamento che perseguiva l’obiettivo primario di annientarlo psicologicamente affinché rinnegasse i suoi principi che avviene nell’uomo la catarsi che lo condurrà alla guida del suo Paese dal maggio 1994 al giugno del 1999.

Durante il suo incarico politico presiedette la transizione dal regime basato sull'apartheid alla democrazia, guadagnandosi il rispetto mondiale per il suo sostegno alla riconciliazione nazionale e internazionale. 

Mandela istituì un tribunale speciale denominato “Commissione per la Verità e la Riconciliazione” (Truth and Reconciliation Commission, TRC) per rimuovere gli impedimenti al processo di riconciliazione ed integrazione della popolazione bianca e di colore e promuovendo l’armonizzazione della convivenza tra le varie etnie nazionali. 

Gli fu assegnato il premio Nobel per la pace nel 1993 insieme a F. W. de Klerk che nominò suo vice presidente ma già nel 1988 era stato insignito col Premio Sakharov per la libertà di pensiero e con il Premio Lenin per la pace nel 1990.

Mandela rimase in prigione fino al febbraio del 1990. Le crescenti proteste dell'ANC e le pressioni della comunità internazionale portarono al suo rilascio l'11 febbraio 1990, su ordine del Presidente sudafricano pro tempore  de Klerk, e alla fine dell'illegalità per l'ANC. Mandela a 71 anni iniziava la sua missione di pace e riconciliazione che scosse milioni di coscienze in tutto il mondo. 

Durante i suoi 27 anni di isolamento Mandela lesse molti testi, poemi e poesie liriche. In particolare fu colpito da una poesia in inglese del poeta britannico William Ernest Henley, intitolata Invictus, dal latino "invitto", o "invincibile" inserita nella raccolta Vita e Morte (Echi), pubblicata per la prima volta nel 1888 all'interno del libro Book of Verses: questa è stata la principale ispirazione che lo ha sorretto nei momenti difficili durante la sua dura prigionia e a rinunciare a una strategia violenta e vendicativa in favore di un processo di riconciliazione e pacificazione. 

Leggendo questa poesia ci si accorge che narra una delle più impegnative e importanti esperienze interiori che l’anima umana deve affrontare per evolversi verso la libertà: è l’incontro con il male.

Questo cammino inizia con il buio dell’anima, non ci sono più riferimenti, si tocca la solitudine e la perdita della luce interiore, il mondo che ci circonda incomincia a presentarci il volto orribile del male. Ci si rivelano le false amicizie, le invidie, l’egoismo che governa i rapporti sociali ed economici e molto spesso anche quelli familiari; l’indifferenza e la viltà degli opportunisti; la scaltrezza dell’omicida; l’avidità patologica che spinge a commettere ogni sorta di bassezze e tradimenti pur di ottenere il proprio tornaconto: è un’autentica discesa all’inferno. 

Dante la descrive con i primi versi dell’inferno, anch’egli parla dell’oscurità dell’anima, del disorientamento, della mancanza di ogni riferimento e visitando i gironi dell’’inferno coglie le varie manifestazioni del male.

Dante, Henley, Mandela sono tre personaggi con una diversa cultura, etnia, religione ma vivono la stessa esperienza dimostrando che tale prova è presente nel destino di ogni essere umano, io la definirei il risveglio della coscienza profonda che apre la via verso la libertà attraverso la vera conoscenza del sé e alla conseguente assunzione di responsabilità per il nostro pensare, sentire e agire esercitato nel mondo. La frase: “Si raccoglie ciò che si semina” esprime sinteticamente le conseguenze relative al nostro comportamento. 

Proprio attraverso questa esperienza che può durare decine di anni o un’intera vita si avverte la presenza amorevole del mondo spirituale che ci assiste costantemente, ci sostiene nei momenti difficili di passaggio da uno stadio evolutivo all’altro e ciò che prima ci era tenuto nascosto adesso ci si rivela in tutta la sua durezza e crudeltà. 

Ma ci svela anche che ogni essere umano è importante e unico e che attraverso la qualità  dei rapporti interpersonali può riallacciare i legami con la realtà spirituale dalla quale si era allontanato dimenticandola: nei nostri rapporti con l’altro, ciascuno diviene un termine di contraddizione reciproco dove il nostro pensare, sentire e agire non sono più istintuali ma coscienti  rendendoci così pienamente responsabili delle conseguenze che il nostro operare ha sull’altro e sulla nostra esistenza.

Dal profondo della notte che mi avvolge,
buia come il pozzo più profondo che va da un polo all’altro,
ringrazio gli dei chiunque essi siano
per l’indomabile anima mia.

Nella feroce morsa delle circostanze
non mi sono tirato indietro né ho gridato per l’angoscia.
Sotto i colpi d’ascia della sorte
il mio capo è sanguinante, ma indomito.

Oltre questo luogo di collera e lacrime
incombe solo l’Orrore delle ombre,
eppure la minaccia degli anni
mi trova, e mi troverà, senza paura.

Non importa quanto sia stretta la porta,
quanto piena di castighi la vita.
Io sono il padrone del mio destino:
io sono il capitano della mia anima.

 La vera protagonista della poesia è l’anima umana che si misura con il male che colpisce il corpo fisico per piegarla ai suoi compromessi con il suo crudele infierire.

Di questi attacchi non si deve avere alcuna paura; le ferite fisiche e le ingiustizie umane non devono farci desistere dal percorrere con dignità questo cammino. Il trascorrere del tempo non deve farci temere perché è la strada che ci sta conducendo verso la libertà. Anche l’elemento fisico del tempo viene dilatato, si espande per toccare la dimensione spirituale per poi scomparire nell’eternità.

“Non importa quanto sia stretta la porta, quanto piena di castighi la vita.” Non importa quanto sia alto il prezzo da pagare per conquistare la libertà perché alla fine ognuno di noi può agire creativamente sul proprio destino: “Io sono il padrone del mio destino: io sono il capitano della mia anima.”

E' passato più di un secolo e la testimonianza del poeta britannico che imprime la sua sofferenza su di un foglio di carta, non a caso, diventa l’ispirazione per un altro uomo che in quelle parole riscopre l’invincibilità dell’animo umano di fronte alle difficoltà di una vita autenticamente dedicata al bene degli altri. 

Ne “Il Signore degli anelli” vi è una battuta molto significativa che si riallaccia all’argomento trattato: “Non temo né morte né dolore. Temo la gabbia, stare dietro le sbarre finché l'abitudine e la vecchiaia le accettino, e ogni occasione di valore sia diventata un ricordo o un desiderio.”

La gabbia con le sue sbarre, la vecchiaia, la perdita di ogni occasione di valore non possono vincere contro l’aspirazione sincera di un’anima alla ricerca della libertà che ha come indissolubile compagna di viaggio la verità. La vita di un essere libero non è concettuale ma pratica e incisiva per questo è difficile e dolorosa. Ogni giorno siamo chiamati ad impegnarci in questo cammino facendo ciò che ci spetta con rettitudine, rispettando la dignità dell’altro: non saranno i confessionali a salvare la nostra anima, anzi! 

L’aspirazione alla libertà risiede in ogni anima umana! È in questa dimensione divina e infinita dove tutto è possibile che si realizzerà passo dopo passo la redenzione e la resurrezione attraverso il nostro retto pensare, sentire, parlare e agire.