I vescovi del Lazio scrivono ai fedeli ricordando che non esiste un prima o dopo gli italiani
"Vorremmo invitarvi ad una rinnovata presa di coscienza: i bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani da soccorrere non possono essere distinti in virtù di un 'prima' o di un 'dopo' sulla base dell'appartenenza nazionale. Siamo tutti figli di Dio".
Questo il memento contenuto nella lettera che i 21 vescovi del Lazio hanno inviato ai fedeli delle proprie diocesi in occasione della Pentecoste.
"Purtroppo - scrivono i vescovi laziali - nei mesi trascorsi le tensioni sociali all'interno dei nostri territori, legate alla crescita preoccupante della povertà e delle diseguaglianze, hanno raggiunto livelli preoccupanti".
"Sappiamo bene - prosegue la missiva - che in tutte queste dimensioni di sofferenza non c'è alcuna differenza: italiani o stranieri, tutti soffrono allo stesso modo.
È proprio a costoro che va l'attenzione del cuore dei credenti e – vogliate crederlo – dell'opzione di fondo delle nostre preoccupazioni pastorali".
"Da certe affermazioni che appaiono essere 'di moda' potrebbero nascere germi di intolleranza e di razzismo che, in quanto discepoli del Risorto, dobbiamo poter respingere con forza. Chi è straniero è come noi, è un altro 'noi': l'altro è un dono. E' questa la bellezza del Vangelo consegnatoci da Gesù: non permettiamo che nessuno possa scalfire questa granitica certezza".
Così ha spiegato ai microfoni di Radio Vaticana mons. Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, il motivo della lettera: "Abbiamo deciso di far presente a tutti i fedeli che c'è la necessità, ora più che mai, di mostrare un senso di compassione nell'incontro con l'altro.
Vivere con misericordia la sofferenza del prossimo, vivere la carità, assumerla come stile di vita.
Dobbiamo essere dei pacificatori - ha detto il vescovo -. Dobbiamo prendere l'incontro con l'altro, sia esso un immigrato, un Rom, un semplice povero che vive per strada, come un dono di Dio. E per farlo dobbiamo cominciare dall'ascolto, dall'accoglienza e dalla benevolenza.
Noi siamo famiglia. Dobbiamo essere il simbolo della comunità per la quale Gesù ha pregato: il noi dei cristiani è inclusione.
Nella sfilacciatura delle relazioni di oggi, nella frammentazione dei rapporti sociali che ci troviamo a fronteggiare - ha concluso Spreafico - dobbiamo fare fronte comune. Dobbiamo sconfiggere la solitudine, il grande male del nostro tempo".