Sembrerebbe una notizia straordinaria, finalmente verranno desecretati i documenti relativi a Gladio e P2, bisogna vedere quando e quali documenti saranno selezionati e resi accessibili al pubblico comunque gli addetti ai lavori hanno messo le mani avanti: occorrono fondi che sono difficilmente reperibili visto che l’attuale governo dei “migliori” ha deliberato 30 milioni di euro per gli studi sulla fattibilità del ponte delle illusioni: sono 50 anni che questo raggiro - costato ai contribuenti una cifra iperbolica vuoto a perdere - ha nutrito i soliti squali che sguazzano nelle gare d’appalto pubbliche per realizzare opere per lo più inutili e costosissime recando un grave nocumento alla collettività. Renzi & C. vogliono abrogare il reddito di cittadinanza perché inutile mentre spingono spese realmente inutili per foraggiare i loro amici di Confindustria.
Voi pensate che veramente saranno rivelate le pagine più vergognose della storia di questo Paese dagli “eredi” dei diretti responsabili di un tale museo degli orrori?
Nel frattempo è bene rivisitare gli scritti di coloro che a quel tempo hanno capito e cercato di parlare ai cittadini comuni di quello che stava loro accadendo perché eravamo noi le vittime occasionali di tale strategia golpista e terroristica che ha mietuto vittime senza alcuna misericordia per “un bene superiore” ancor oggi per me incomprensibile perché privo di qualsivoglia giustificazione.
Parliamo di un personaggio tutt’ora “scomodo”, parliamo di Pier Paolo Pasolini che fu barbaramente ucciso il 2 novembre del 1975.
Parliamone senza pregiudizi partendo dalla sua tragica fine, molte risposte ci vengono fornite dalla modalità della sua morte violenta.
Il suo corpo fu ritrovato all’idroscalo di Ostia da un passante, era stato colpito alla testa poi gli assassini, utilizzando l’auto dello scrittore, travolgevano il suo corpo più volte dimostrando odio e disprezzo verso un essere umano ormai inerme. Un minorenne “di vita” Pino Pelosi si autoaccusò del delitto ma, oggettivamente era improbabile che a compiere materialmente un crimine così efferato fosse stato lui, vi è stata sempre la convinzione che il Pelosi avesse attirato nella trappola lo scrittore portandolo in quel luogo deserto per un pestaggio invece negli esecutori vi era la volontà di uccidere.
Gli fu detto di autoaccusarsi e di non temere perché se la sarebbe cavata con poco: fu assitito da un consulente del calibro di Semerari e da un avvocato di destra e se la cavò con circa 7 anni di galera. I suoi complici (non certo appartenenti al suo giro) hanno "pagato" la sua difesa e mantenuto la parola data.
La modalità del delitto Pasolini mostrava che l’obiettivo non era solo l’eliminazione fisica di una persona scomoda ma soprattutto aveva l’intento di distruggere la sua dignità inscenando un delitto a sfondo omosessuale compiuto da un minorenne dedito alla prostituzione maschile in un luogo isolato quando la vittima aveva ampie disponibilità che gli permettevano di scegliere luoghi più “sicuri” per i suoi incontri particolari.
Pasolini non era un ipocrita, non aveva mai tenuto nascosta la sua omosessualità, era un uomo talentuoso e di grande cultura, acuto, disincantato, diretto e per questo scomodo, anzi inviso a moltissimi. Ha avuto il coraggio di vivere la sua diversità subendo l’ostracismo di una società ipocritamente cattolica. Comunque sono dell’avviso che ciò che ha condannato a morte Pasolini non è stato quello che era ma quello che sapeva. Era temuto per la sua onestà intellettuale che avrebbe portato molti a riflettere su quanto stava accadendo.
Il 14 novembre 1974 pubblicava un articolo estremamente provocatorio sul Corriere della Sera: “Cos’è questo golpe? Io so”, nella stesura non fa nomi ma parlando esplicitamente dei tragici fatti accaduti in quegli anni terribili durante i quali sono state falcidiate vite di cittadini inermi ed innocenti indica i mandanti per questo viene eliminato dopo un anno il 2 novembre 1975.
Gli stessi destini sono riservati a Mino Pecorelli che viene assassinato il 20 marzo del 1979 perché stava per pubblicare dei documenti sul delitto Moro (9 maggio 1978). Chi può dimenticare la pubblica denuncia di Giuseppe Fava durante un’intervista di Enzo Biagi sulla rete nazionale: parlò chiaramente del ruolo gregario della mafia nei giochi di potere che si svolgevano a Roma, fu “freddato” il 5 gennaio 1984 una settimana dopo l’intervista. La sua rivista “I Siciliani” fornì una chiave di lettura agli inquirenti che stavano svolgendo delle indagini di mafia che si conclusero con all’arresto dei membri del clan Santapaola ritenuti responsabili e condannati anche per il suo omicidio.
Pasolini pubblicando il suo articolo fornisce anch’egli una chiave di lettura che va oltre il limitato fenomeno mafioso, arriva al cuore del problema politico e culturale che affligge lo Stato italiano. Indica chiaramente motivazioni e mandanti dei tentati golpe e stragi e chi era coinvolto non ha certo gradito un tale servizio alla verità.
Ci sono due passi molti significativi ed espliciti leggendo i quali emergono con chiarezza le motivazioni e i “pupari” che hanno agito indisturbatamente e cinicamente procurando gravi danni a questo Paese:
“Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l'aiuto della Cia (e in second'ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il '68, e in seguito, sempre con l'aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del "referendum".
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l'altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l'organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggi grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli. Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari. Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli. Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”.
Ci indica inoltre il “metodo” da seguire per arrivare a una verità senza prove ma comunque alla verità.
“Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l'arbitrarietà, la follia e il mistero. Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi”.
In questo altro passo affronta il problema morale che investe sia i giornalisti che i politici che dovrebbero avere a cuore il bene della collettività.
“Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi. A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale. Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi - proprio per il modo in cui è fatto - dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All'intellettuale - profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana - si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici. Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l'intera classe politica italiana. Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico - non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento - deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi”.
Conclude lapidariamente additando i due pesi e le due misure che si erano usati per valutare le responsabilità politiche di un presidente degli Stati Uniti e dei politici che guidano l’Italia sotto la bandiera di un'apparente democrazia e di una Costituzione che rimarrà di fatto lettera morta perché condizionata pesantemente dalle esigenze dettate dalla politica estera americana.
“Probabilmente - se il potere americano lo consentirà - magari decidendo "diplomaticamente" di concedere a un'altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon - questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato”.
Così si spiega la “strana” morte di Adriano Olivetti e dell’ingegnere informatico italo cinese Mario Tchou, il delitto di Enrico Mattei e i più recenti delitti di Giovanni Falcone e Borsellino questi ultimi non sono da imputare esclusivamente alla mafia.
Di tali tragiche esperienze rimangono ricorrenti e vuote celebrazioni quando dovremmo viverle in sostanziali e preziose esperienze culturali da utilizzare come spinta propulsiva per un cambiamento radicale di mentalità. Metterle sul piano morale non serve a nulla quando le giovani generazioni sono state educate a coltivare il profitto e l’apparenza divenendo ormai schiavi felici di un illusorio consumismo giunto al tramonto per esaurimento di risorse e progettualità.
L’italiano è un popolo con il cartello del prezzo attaccato al collo: la mafia non ha più bisogno di uccidere perché può comprare un giudice, un funzionario, un impiegato, un commercialista, un avvocato, una banca e vari posti al Parlamento.
Solone diceva: “La giustizia è come una tela di ragno: trattiene gli insetti piccoli, mentre i grandi la trafiggono e restano liberi”. Ammesso e non concesso che alcune strutture segrete siano state smantellate (ma io non ci credo) rimane la stessa mentalità che ha superato il tempo e si propone di fatto attualmente come sistema di governo. La DC fino alla sua fine è stata la continuazione del fascismo, obbediente alla politica estera americana ha utilizzato ogni mezzo lecito e illecito per infartuare il processo di democratizzazione del Paese: oggi sono cambiate le sigle dei partiti ma gli eredi di quel regime spadroneggiano indisturbatamente anche senza la scusa del PCI.