L’intelligenza artificiale secondo Gulliver o il “disegno intelligente”
Nei “Viaggi di Gulliver”, l’immortale opera Jonathan Swift, non troviamo solo avventure e peripezie del protagonista Gulliver, ma anche penetranti ipotesi di carattere scientifico.
Si potrebbe provare a negare che ogni singolo argomento scientifico sia stato già trattato dalla letteratura universale, in forma, si potrebbe dire oggi, “fantascientifica”, ma è vero il contrario: Una delle opere più fantasiose della letteratura occidentale, la satira scritta nel 1726 dall'irlandese Jonathan Swift e intitolata “The Gulliver's Travels”, contiene alcune originali ipotesi scientifiche, che anticipano di qualche secolo la scienza di oggi.
I viaggi di Gulliver sono un'opera classica, divisa in quattro parti corrispondenti ad altrettanti viaggi, in cui il protagonista, il chirurgo Lemuel Gulliver, imbarcatosi su una nave che solca gli oceani, compie inverosimili esperienze presso paesi e popoli che rappresentano, in modo ingegnosamente caricaturale, la cultura occidentale.
Ma, d’improvviso, il romanzo satirico si distacca dal suo tono corrosivo e ironico e propone un vera e propria anticipazione fantascientifica dell’ “intelligenza artificiale”, in uno dei quattro viaggi di Gulliver.
Il protagonista conosce, infatti, l'accademia di Lagado, un'istituzione molto speciale in cui incontra scienziati impegnati ad inseguire eccentricità come l’estrazione di raggi di sole dai cetrioli, la conversione di escrementi umani in cibo genuino o la costruzione di nuove case partendo dal tetto.
Il più interessante racconto dell’alter-ego di Jonathan Swift, e che colpisce immediatamente l’immaginazione, è l’"intelligenza artificiale", che Gulliver incontra quando scopre nell’accademia di Lagado una tavola "che occupa la maggior parte della lunghezza e della larghezza di una stanza".
Si tratta di una strana invenzione, realizzata con diversi pezzi di legno legati insieme da un filo sottile e poi ricoperti di carta, con su scritte tutte le parole esistenti, ma senza ordine alfabetico.
Alcune leve di ferro pongono in funzione la macchina e questa inizia a spostare le parole, a farle cambiare di posizione, ricombinandole tra loro in modi casuali.
In tal modo, compaiono alcune frasi significative, che sono diligentemente ricopiate da alcuni calligrafi e scriba presenti, finché non viene composto un vero e proprio libro. A Gulliver sono mostrati dagli accademici di Lagado "diversi grandi volumi in folio" assemblati in questo modo per "offrire al mondo un'opera completa di tutte le scienze e le arti". È "un progetto per far avanzare le conoscenze speculative attraverso operazioni pratiche e meccaniche".
Jonathan Swift sembra, con questo breve bozzetto letterario, aver anticipato il concetto di intelligenza artificiale come selezione e memorizzazione di combinazioni dotate di senso, teoricamente possibili anche se del tutto infrequenti all’interno una base di dati casuali, e prodotte in arco di tempo infinito; laddove la selezione avverrebbe per mezzo di un algoritmo in grado di sondare per un tempo infinito una base di dati casuali altrettanto infinita.
Si può allora, da questo punto di vista, identificare la macchina ideata da Jonathan Swift con l'idea centrale del teorema esposto dal matematico Émile Borel nel 1913 e a noi noto come “teorema della scimmia instancabile”. Il suddetto teorema suggerisce che una scimmia, che prema a caso i tasti di una tastiera per un tempo infinitamente lungo, quasi certamente riuscirà a comporre qualsiasi testo prefissato, come i volumi della Biblioteca Nazionale di Francia, le opere di William Shakespeare o la Divina Commedia.
In realtà, il teorema e la storia di Swift sono chiaramente un’idealizzazione, non solo del tutto astratta, ma anche concretamente irrealizzabile. Tuttavia, l’ipotesi letteraria e la teoria matematica mostrano come l’intelligenza “umana” sia già qualcosa di altamente improbabile, dal punto di vista del puro caso di tipo naturale, dato che sarebbe sempre da considerare un’impresa straordinariamente improbabile affidare a meccanismi naturali come una scimmia priva di intelligenza o al telaio-scrittore di volumi scientifici di Lagado il compito di selezionare frasi dotate di senso compiuto.
Quello che si può dedurre dall’inverosimile improbabilità dell’intelligenza “umana” è che la stessa “intelligenza artificiale”, ad immagine di quella degli uomini, richieda “una potenza di calcolo aumentata”, al punto di essere in grado di “contrarre a dimensioni finite” con la sua potenza il tempo “forse” infinito necessario per identificare, leggere, selezionare e memorizzare frasi di senso compiuto all’interno di una “tabella” essa stessa “forse” infinita di dati casuali.
Ma qualcosa, nella enigmatica finitezza della natura umana e dei nostri computer attuali, lascia supporre che l’intelligenza umana e quella artificiale non abbiano quella potenza di calcolo inimmaginabile, richiesta dall’identificazione di regolarità dotate di senso.
Forse il paradosso di Émile Borel e gli accademici di Jonathan Swift suggeriscono la presenza di un “disegno intelligente” nella natura usualmente compresa dalle intelligenze umane e non, anziché il “mero caso”?
Fonte El Pais, ediz. Elettronica www.elpais.com 20.3.2019