Cronaca

Il messaggio di Papa Francesco ai partecipanti alla 39.esima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli


Questa domenica si apre a Rimini la 39.esima edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli sul tema "Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice".

Per l'occasione, Papa Francesco ha inviato agli organizzatori, ai volontari e ai partecipanti un messaggio, con il tramite del vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi.

Di seguito, il testo, in cui il Papa ha ricordato anche il suo prossimo appuntamento che lo vedrà impegnato a Dublino il 25 e 26 agosto in occasione dell'incontro mondiale delle famiglie.


Il titolo del Meeting − «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice» −, riprende un’espressione di Don Giussani e fa riferimento a quella svolta cruciale avvenuta nella società intorno al Sessantotto, i cui effetti non si sono esauriti a cinquant’anni di distanza, tanto che Papa Francesco afferma che «oggi non viviamo un’epoca di cambiamento quanto un cambiamento d’epoca» (Discorso al V Convegno nazionale della Chiesa italiana, Firenze, 10 novembre 2015).

Il '68 e il mito del cambiamento.
La rottura con il passato divenne l’imperativo categorico di una generazione che riponeva le proprie speranze in una rivoluzione delle strutture capace di assicurare maggiore autenticità di vita. Tanti credenti cedettero al fascino di tale prospettiva e fecero della fede un moralismo che, dando per scontata la Grazia, si affidava agli sforzi di realizzazione pratica di un mondo migliore.

Per questo è significativo che, in quel contesto, a un giovane tutto preso dalla ricerca delle “forze che dominano la storia”, Don Giussani disse così: «Le forze che muovono la storia sono le stesse che rendono l’uomo felice» (Vita di don Giussani, BUR 2014, p. 412). Con queste parole lo sfidava a verificare quali siano le forze che cambiano la storia, alzando l’asticella con cui misurare il suo tentativo rivoluzionario.


Che ne è stato di tale tentativo?
Che cosa è rimasto di quel desiderio di cambiare tutto? Non è questa la sede per un bilancio storico, ma possiamo riscontrare alcuni sintomi che emergono dalla situazione attuale dell’Occidente. Si torna ad erigere muri, invece di costruire ponti. Si tende ad essere chiusi, invece che aperti all’altro diverso da noi. Cresce l’indifferenza, piuttosto che il desiderio di prendere iniziativa per un cambiamento. Prevale un senso di paura sulla fiducia nel futuro. E ci domandiamo se in questo mezzo secolo il mondo sia diventato più abitabile.

Questo interrogativo riguarda anche noi cristiani, che siamo passati attraverso la stagione del ’68 e che ora siamo chiamati a riflettere, insieme a tanti altri protagonisti, e a domandarci: che cosa abbiamo imparato? Di che cosa possiamo fare tesoro?


Può l'uomo bastare a se stesso?
Da sempre la tentazione dell’uomo è quella di pensare che la sua intelligenza e le sue capacità siano i principi che governano il mondo; una pretesa che si realizza secondo due modi: «Uno è il fascino dello gnosticismo, […] dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti. L’altro è il neopelagianesimo […] di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 94). Ma allora, il cristiano che vuole evitare queste due tentazioni deve necessariamente rinunciare al desiderio di cambiamento?

Un cristiano non rinuncia ad un mondo migliore
No, non si tratta di ritirarsi dal mondo per non rischiare di sbagliare e per conservare alla fede una sorta di purezza incontaminata, perché «una fede autentica […] implica sempre un profondo desiderio di cambiare il mondo» (ibid., 183), di muovere la storia, come recita il titolo del Meeting.

In tanti si domanderanno: è possibile? Il cristiano non può rinunciare a sognare che il mondo cambi in meglio. È ragionevole sognarlo, perché alla radice di questa certezza c’è la convinzione profonda che Cristo è l’inizio del mondo nuovo, che Papa Francesco sintetizza con queste parole: «La sua risurrezione non è una cosa del passato; contiene una forza di vita che ha penetrato il mondo. Dove sembra che tutto sia morto, da ogni parte tornano ad apparire i germogli della risurrezione. È una forza senza uguali. […] Nel mezzo dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo» (ibid., 276).

Abbiamo visto all’opera questa “forza di vita” in tante situazioni lungo la storia. Come non ricordare quell’altro cambiamento d’epoca che ha segnato il mondo? Ne ha parlato il Santo Padre all’episcopato europeo lo scorso anno: «Nel tramonto della civiltà antica, mentre le glorie di Roma divenivano quelle rovine che ancora oggi possiamo ammirare in città; mentre nuovi popoli premevano sui confini dell’antico Impero, un giovane fece riecheggiare la voce del Salmista: “Chi è l’uomo che vuole la vita e desidera vedere giorni felici?”. Nel proporre questo interrogativo nel Prologo della Regola, san Benedetto […] non bada alla condizione sociale, né alla ricchezza, né al potere detenuto. Egli fa appello alla natura comune di ogni essere umano, che, qualunque sia la sua condizione, brama certamente la vita e desidera giorni felici» (Discorso sull’Europa, 28 ottobre 2017).

Chi salverà oggi questo desiderio che abita, seppure confusamente, nel cuore dell’uomo? Solo qualcosa che sia all’altezza della sua brama infinita. Se infatti il desiderio non trova un oggetto adeguato, rimane bloccato e nessuna promessa, nessuna iniziativa potranno smuoverlo. Da questo punto di vista, «è perfettamente concepibile che l’età moderna, cominciata con un così eccezionale e promettente rigoglio di attività umana, termini nella più mortale e nella più sterile passività che la storia abbia mai conosciuto» (H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, Milano 1994, 239-240).


Nessuno sforzo, nessuna rivoluzione può soddisfare il cuore dell’uomo.
Solo Dio, che ci ha fatti con un desiderio infinito, lo può riempire della sua presenza infinita; per questo si è fatto uomo: affinché gli uomini possano incontrare Colui che salva e compie il desiderio di giorni felici, come ricorda un passo del Documento di Aparecida (29 giugno 2007), frutto della V Conferenza dell’episcopato del Continente latino-americano e dei Caraibi. Il Santo Padre, ringraziando per l’esposizione dedicata al grande Santuario mariano di Aparecida, offre tale passo come contributo all’approfondimento del tema del Meeting: «L’avvenimento di Cristo è […] l’inizio di questo soggetto nuovo che nasce nella storia […]: “All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, 1). […] La natura stessa del cristianesimo consiste, pertanto, nel riconoscere la presenza di Gesù e seguirlo. Questa fu la bella esperienza di quei primi discepoli che, incontrando Gesù, rimasero affascinati e pieni di stupore dinanzi alla figura straordinaria di chi parlava loro, dinanzi al modo in cui li trattava, dando risposte alla fame e sete di vita dei loro cuori. L’evangelista Giovanni ci ha raccontato, con forza icastica, l’impatto che la persona di Gesù produsse nei primi due discepoli, Giovanni e Andrea, che lo incontrarono. Tutto comincia con la domanda: “Che cercate?” (Gv 1,38). Alla quale fece seguito l’invito a vivere un’esperienza: “Venite e vedrete” (Gv 1,39). Questa narrazione rimarrà nella storia come sintesi unica del metodo cristiano» (Doc. di Aparecida, 243-244).


L'augurio del Papa.
Il Santo Padre augura che il Meeting di quest’anno sia, per tutti coloro che vi parteciperanno, occasione per approfondire o per accogliere l’invito del Signore Gesù: «Venite e vedrete». È questa la forza che, mentre libera l’uomo dalla schiavitù dei “falsi infiniti”, che promettono felicità senza poterla assicurare, lo rende protagonista nuovo sulla scena del mondo, chiamato a fare della storia il luogo dell’incontro dei figli di Dio col loro Padre e dei fratelli tra loro.

 

Autore Fiorenza Gentileschi
Categoria Cronaca
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