Parafrasando il titolo della celebre pellicola di Fred Zinnemann “Mezzogiorno di fuoco” possiamo affermare di aver avuto anche noi, ieri, il nostro “Ferragosto di fuoco”.

Infatti il professore Giuseppe Conte, sì proprio lui il sempre garbato presidente del Consiglio, ha estratto dalla fondina la sua Colt 45 e, con passo non più incerto, ha indirizzato al Matteo padano una lettera pubblica contestandogli, finalmente, la sua reiterata slealtà nella collaborazione al governo ed il mancato rispetto dei ruoli e delle responsabilità istituzionali.

Un fulmine in un cielo politico già a soqquadro che ha sorpreso tutti costringendo il padano a rispondere con i ritriti e scontati slogan tanto cari ai trogloditi elettori leghisti.

Il tutto accadeva nelle ore in cui il Matteo padano sembrava pentirsi di aver dato la stura ad una crisi politica al solo scopo di costringere gli italiani ad un insensato ritorno alle urne dopo soli 16 mesi da quel 4 marzo 2018 in cui gli elettori già si erano espressi con la speranza di un cambiamento.

Personalmente non credo che la pretesa leghista sia dovuta esclusivamente al desiderio di portare a casa quella vittoria elettorale che i sondaggi sembrerebbero ipotizzare.

Credo, piuttosto, che il Matteo padano e la sua musa legale, Giulia Bongiorno, abbiano sentore che dalle inchieste Moscopoli, Savoini, Siri, Arata, possano emergere rivelazioni devastanti per il Capitano leghista.

Fatto sta che non appena è spuntata all’orizzonte l’ipotesi di un inattuabile ritorno alle urne anche a causa della nascita di un possibile esecutivo M5S-PD-LeU, dagli esponenti leghisti sono partiti messaggi di rinnovato feeling nei confronti di Di Maio.

Già… Di Maio, l’altro protagonista del Ferragosto infuocato.

Checché possa sembrare, però, il guaglione da Pomigliano d’Arco non vive angosce minori del Matteo padano.

Di Maio è consapevole, infatti, che prima o poi, forse più prima che poi, dovrà rendere conto di aver consentito, per grette ambizioni personali, che in 14 mesi di governo Salvini sodomizzasse il M5S ed i suoi parlamentari costringendoli a tradire uno dopo l’altro quei valori che avevano portato il movimento ad essere la prima forza politica il 4 marzo 2018.

Una sodomizzazione, permessa da Di Maio con il permanente sorriso ebete sulle labbra, che ha provocato al M5S la perdita di oltre 6 milioni di consensi e la debacle grillina in tutte le consultazioni elettorali degli ultimi mesi.

Questa volta al tronfio Luigino non basterà la farsa di un ricorso ai quattro gatti del mondo Rousseau per salvarsi da una umiliante defenestrazione.

Peraltro, è proprio la paura fottuta di una ancor più rapida defenestrazione che sta trascinando il tremebondo Di Maio a disdegnare l’ipotesi di un governo con PD e LeU che, sicuramente, vorrebbero un altro negoziatore pentastellato al tavolo delle trattative.

E così, ora dopo ora, giorno dopo giorno, il Paese continua a vivere in balia della incertezza e dei suoi problemi irrisolti, con una crisi politica che preoccupa più di tutti il Presidente Mattarella.

Non resta, perciò, che attendere il nuovo appuntamento di martedì 20 agosto che vedrà, nell’aula del Senato, protagonista il presidente del Consiglio, professore Giuseppe Conte.

Il dubbio: ai senatori si presenterà con la Colt 45 o con un francescano ramoscello di ulivo?