Quale sia la strategia che guida la politica del presidente degli Stati Uniti Donald Trump è difficile dirlo. La guerra commerciale messa in atto contro quelli che finora sono stati suoi partner ne è un perfetto esempio.

In Italia, come da tempo ci capita di vedere, i partiti politici prendono ad esempio gli slogan che sono stati vincenti alle ultime elezioni americane... quello di Trump era America First.

Per dar seguito a tale promessa, il presidente Usa ha iniziato a disconoscere trattati internazionali in vigore da anni e imporre nuove tariffe doganali sui prodotti d'importazione, provocando, naturalmente, uguali reazioni dai Paesi colpiti.

L'ultimo aggiornamento di questa "guerra", dopo una tregua improvvisa e inaspettata con l'Europa, interessa la Cina, presa di nuovo di mira da Trump con nuove tariffe doganali che dovrebbero avere un impatto sulle importazioni in Usa per un valore intorno a 50 miliardi di dollari... a partire dal prossimo 6 luglio.

La Cina, ovviamente, non starà a guardare e applicherà un aumento dei dazi sui prodotti importati dagli Usa per uguale valore. Tra i prodotti Usa che saranno colpiti c'è anche il petrolio che finora dalla Cina veniva acquistato per 1 miliardo di dollari al mese.

Le esportazioni dagli Usa erano necessarie, per la Cina, per colmare la domanda di greggio dovuta alla diminuzione di produzione dei Paesi Opec, che avevano trovato un accordo sulla quantità di greggio da estrarre per far salire i prezzi di vendita ritenuti troppo bassi e non più sostenibili. La Cina aveva trovato negli Usa una valida alternativa al greggio russo e saudita.

Curiosamente, l'Opec ha annunciato da poco che aumenterà il livello di produzione, diminuendo le precedenti restrizioni. Quindi, per la Cina non dovrebbero esserci grossi problemi nel rispondere alla guerra commerciale di Trump. Non solo. Paradossalmente, la Cina potrebbe anche supportare i mancati acquisti di petrolio dagli Usa sostituendoli con quelli dall'Iran, Paese nel mirino di Washington e Israele, su cui Trump, ritenuta chiusa la pratica con la Corea del Nord, punterà l'attenzione come prossima emergenza di politica estera.

Questa vicenda, semmai ce ne fosse stato bisogno, è l'ennesima dimostrazione di quanto siano complesse le relazioni internazionali a livello commerciale e non e che governare sulla base della propaganda non è mai un'ottima scelta, a meno che non si decida di minare le relazioni con tutti gli altri Paesi.