Al sultano Erdogan è giunta sul tavolo una “proposta indecente” da parte del presidente russo Vladimir Putin: rendere la Turchia il centro di distribuzione del gas russo verso l’Europa e in particolare verso quei Paesi che non possono acquistarlo direttamente a causa delle sanzioni da essi stessi approvate.
La proposta porta con sé anche altri aspetti vantaggiosi per il leader turco, primo fra tutti la possibilità di usarla come strumento di campagna elettorale in vista delle presidenziali del 2023. L’inflazione record, il malcontento interno, gli attentati e così via hanno infatti diminuito molto il prestigio e la presa di Erdogan sul Paese.
Se invece la Turchia diventasse davvero l’hub per i combustibili russi verso l’Europa, allora acquisirebbe un ruolo di una centralità mai vista prima, superiore persino all’importanza che la Turchia riveste come membro della NATO, senza considerare poi che le casse dello Stato verrebbe senza alcun dubbio rimpinguate in abbondanza.
Il presidente turco ha dunque detto subito di sì, pur riservandosi una risposta definitiva soltanto dopo che saranno stati analizzati i dettagli tecnici. Infatti, se sulla carta è un progetto fattibile e lucrativo, nella pratica vanno prima risolte numerosi e complesse questioni tecniche, finanziarie e diplomatiche.
Niente di impossibile, ma richiede tempo e sforzi. Ad esempio, per completare e poi gestire alcuni tratti dei gasdotti occorre la cooperazione di determinati Paesi europei, come spiega l’analista politico ed esperto di relazioni fra Turchia e Russia Aydin Sezer; inoltre il gas russo da solo non è sufficiente a sostenere economicamente un tale progetto, ma serve gas anche da altri fornitori.