L’esecutivo insediatosi a Varsavia da qualche settimana, sorretto da una coalizione tripartitica, si è subito trovato ad affrontare difficoltà molto grosse. Le decisioni che ha preso finora per superare certi ostacoli contraddicono l’essenza stessa dei loro valori.

Il cinismo e il pragmatismo applicati alla politica non dovrebbero più stupire, ma rimane la contraddizione fra gli slogan europeisti del premier Tusk e le decisioni del suo gabinetto di far prevalere gli interessi nazionali polacchi sulla visione comune di Bruxelles.

Si tratta in particolare delle questioni legati all’agricoltura e al commercio: oltre ai trasportatori e agli agricoltori che bloccano le strade per impedire l’accesso dei prodotti ucraini a basso costo, è Varsavia stessa a chiedere alla UE di non prolungare le agevolazioni tariffarie a favore di Kiev.

Tusk insiste negli slogan di sostegno incondizionato a Zelensky, e i polacchi sono certamente molto impegnati negli aiuti umanitari e nell’accoglienza dei profughi, ma quando si tratta di difendere alcuni settori chiave dell’economia nazionale, il governo europeista oggi al potere si comporta da sovranista.

Da Tusk, ex presidente del Consiglio europeo, ovviamente ci si aspettava che tifasse per un’Ucraina assorbita e integrata da Bruxelles, ma appunto si sta limitando al semplice tifo, non potendo fare molto altro. C’è da dire che nemmeno i numeri gli consentirebbero di fare scelte impopolari con serenità: la sua coalizione non ha una larga maggioranza in Parlamento, mentre primo partito per numero relativo di seggi è rimasto il PiS dell’ex premier Morawiecki.

È quindi complicatissimo mantenersi in equilibrio fra le spinte europeiste e quelle di protezione degli interessi nazionali: Tusk cammina sul filo del rasoio e le prossime settimane potrebbero rivelarsi decisive per la sorte del suo secondo premierato.