Una "prima" tra innovazione e tradizione, "pathos" e modernità, nostalgia ed emozioni a tinte forti in cui si fondono gelosia e sentimento ma anche dignità femminile ed anelito alla libertà contro ogni tirannía...il suicidio di Tosca (a conclusione del terzo Atto) si trasforma in un nobile volo  in direzione della volta celeste - quale simbolo di libertà ed emancipazione - mentre ai suoi piedi Castel Sant'Angelo  (luogo di persecuzione ed oppressione violenta, oltre che spazio di tortura e morte) sprofonda lentamente nel sottosuolo ai bordi del Tevere...

Ancora una volta la regia di Davide Livermore, nel coniugare tradizione ed innovazione, riesce a stimolare l'immaginario collettivo trasformando - nella scena conclusiva - il senso di una dignitosa sconfitta in un messaggio visivo di riscatto morale ed affermazione sociale. 

Nella rappresentazione di "Tosca" al Teatro alla Scala (la prima in assoluta nella storia delle inaugurazioni della stagione lirica nella tradizionale serata/evento del 7 dicembre) la sperimentazione espressiva di Livermore - ancor più che nel controverso "Attila" di Giuseppe Verdi destinato a suscitare discussioni e diatribe tra critici ed appassionati, lo scorso anno, nella medesima occasione - si pone in perenne equilibrio tra la volontà di rispettare fedelmente lo spirito più autentico da cui l'autore trasse ispirazione nell'impostazione originaria (riproponendo l'Opera nella versione che ne sancì l'esordio il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma, compresi gli 8 passaggi "tagliati" da Giacomo Puccini nelle successive rappresentazioni) ed il proverbiale orientamento del regista a contestualizzarne la realizzazione attraverso un approccio in chiave "cinematografica": quest'ultimo aspetto può essere còlto con particolare evidenza - quasi a ripercorrere le orme del compianto Franco Zeffirelli nella versione de "La Traviata" proposta, in memoria del Maestro scomparso,  lo scorso giugno all'Arena di Verona - non tanto nell'Atto iniziale quanto nei due Atti che seguono. Se nell'Atto secondo - ad esempio - il gioco degli specchi "affrescati" (predisposto da Livermore) contribuisce a rendere più grande e maestosa agli occhi del pubblico l'imponenza e vastità di Palazzo Farnese, la lunga fase silenziosa che introduce all'Atto terzo - dominata dalle suggestive  inquadrature sceniche di Castel Sant'Angelo "in bianco e nero" - ci riaccompagna nel ricordo alle emozioni suscitate dal Neorealismo di Rossellini.

In un contesto descrittivo nel quale l'allestimento scenografico di Giò Forma è stato costantemente arricchito dai video di "D-wok" - nonché plasmato e rimodulato nei chiaroscuri dagli effetti luminosi di Antonio Castro e dai costumi d'epoca di  Gianluca Falaschi - l'Opera segue la partitura delle origini nella nuova edizione critica curata da Roger Parker per "Ricordi", approfondendo ulteriormente l'attività di studio e ricerca avviata - nel corso degli anni - di Riccardo Chailly attraverso un impegnativo percorso di esegesi filologica e rivisitazione del melodramma pucciniano alla luce delle più aggiornate e recenti interpretazioni in tema di musicologia (con le quali lo stesso Chailly - in veste di Direttore d'orchestra - ha riportato alla Scala nelle ultime stagioni liriche altre Opere di Puccini quali "Turandot", "La fanciulla del West", "Madama Butterfly" e "Manon Lescaut").

Vale la pena sottolineare - ad esempio - come la nuova edizione critica di Roger Parker provveda a recuperare ben 8 passaggi di partitura eliminati da Puccini dopo la prima rappresentazione d'esordio il 14 gennaio 1900; oppure come, nel solo primo Atto, siano previsti ben 18 (perlopiù insoliti) cambiamenti di scena a vista; o ancora come - nel secondo Atto - la scena dell'accoltellamento di Scarpia da parte di Tosca abbia una durata superiore di circa 45 secondi rispetto a quanto avviene abitualmente.

La geniale innovazione conclusiva (nella quale il consapevole suicidio di Tosca trasforma sublimemente la protagonista in un Angelo assunto in cielo, mentre la scultura angelica alla sommità di Castel Sant'Angelo sprofonda inesorabilmente nel sottosuolo della "Città Eterna") appare invece riconducibile al talento registico di Davide Livermore a suggello di un'edizione perennemente sospesa tra fedeltà alle origini ed esigenza di modernizzazione in chiave "cinematografica".

Colpisce nel segno anche l'inarrestabile volontà di Livermore di emozionare e coinvolgere il pubblico attualizzando - in un contesto di contemporaneità - temi ed aspetti che storicamente sottendono, in ogni epoca, all'evoluzione dei tempi e del costume: dal ricorrente imporsi della gelosia (in tal caso femminile, nell'ossessione di Tosca per Cavaradossi) all'esigenza di libertà da qualsiasi forma di tirannía o sopruso (qui presente nell'incrollabile determinazione di Tosca a non piegarsi al ricatto di Scarpia) sino al prevalere dell'arroganza di potere che si manifesta nel considerare la donna alla stregua di un mero oggetto di possesso (celebre, in apertura di secondo Atto, il passaggio in cui Scarpia recita: "Ha più forte sapore la conquista violenta/che il mellifluo consenso/Io di sospiri e di lattiginose albe lunari/poco mi appago/Non so trarre accordi di chitarra/né oroscopo di fior/né far l'occhio di pesce/o tubar come tortora/Bramo!/La cosa bramata perseguo/me ne sazio e via la getto/Volto a nuova esca").

Il tutto avviene in un susseguirsi di ritmi incalzanti e momenti più intensamente riflessivi, in cui si alternano imprevedibili effetti speciali ed integrazioni sceniche che ripercorrono il solco dell'originario libretto di Giuseppe Giacosa e Luigi Illica: ma se la rielaborazione narrativa conduce ad osservare - nel secondo Atto - i sotterranei di Palazzo Farnese nei quali Cavaradossi viene reiteratamente torturato dagli aguzzini di Scarpia (come nella prima rappresentazione del 14 gennaio 1900), il flusso delle sensazioni visive decorre - con inattese e sorprendenti combinazioni di luci e colori - sin dall'Atto primo (con il quadro della Maddalena, in Sant'Andrea della Valle, che appare assoggettato ad improvvise e vivaci mutazioni cromatiche) per raggiungere la propria apoteosi nella scena finale in cui l'ascensione al cielo di Tosca (in una sorta di volo angelicamente metafisico) assume i toni di una vera e propria apoteosi abbagliante in cui riecheggiano le note di "E lucevan le stelle" prolungando per diversi secondi l'epilogo di una vicenda che - tra umane debolezze ed intrighi ricorrenti - conduce alla morte i tre protagonisti in rapida successione.

Possente e maestosa Anna Netrebko nell'interpretazione del ruolo di Tosca: efficacissima e convincente in tutti i passaggi decisivi della rappresentazione (nonostante qualche istante di incertezza durante l'esecuzione di "Vissi d'Arte...Vissi d'Amore", nella quale esprime il meglio della propria estensione vocale rimediando con professionalità ad un transitorio momento di amnesia), mentre piuttosto sottotono si rivela - nel complesso - la prestazione di Francesco Meli nel ruolo di Cavaradossi (pur in presenza di un'eccellente interpretazione - che in buona parte ne riscatta la prova - della struggente "E lucevan le stelle" nell'Atto conclusivo). Assolutamente ineccepibile, dal par suo, la "performance" di Luca Salsi nel ruolo del perfido Scarpia (rappresentato in un equilibrato dosaggio di arroganza e bramosia di potere, subdola meschinità e cinica cattiveria). Degne di nota anche le interpretazioni di Carlo Cigni nella veste del fuggitivo Angelotti, di Alfonso Antoniozzi nel ruolo del Sagrestano e di Carlo Bosi nei panni dell'ambiguo Spoletta agli ordini di Scarpia.

Validissimo - anche in questa occasione - l'apporto garantito agli interpreti dal Coro del Teatro alla Scala diretto da Bruno Casoni con la partecipazione del Coro di voci bianche dell'Accademia teatrale.

In conclusione, una "Tosca" che mette tutti d'accordo - critici, addetti ai lavori e pubblico presente (ivi compresi i rigorosi e severissimi esponenti del "Loggione") - e suggellata da ben 16 minuti di scroscianti applausi al termine dei tre Atti: un'eccellente soddisfazione anche per il Sovrintendente Alexander Pereira, alla sua ultima "prima" scaligera in attesa di cedere il testimone al suo successore Dominique Meyer.