Contrassegnate dai numeri da 1100000001 a 1100000025, le richieste di rimborso per le tasse pagate che facevano capo ad un unico soggetto, lasciarono interdetta Anna Schablonski (nome di fantasia), da poco impiegata all'Ufficio Centrale delle Tasse a Bonn. Era il 22 giugno 2011.

In fondo, il rimborso non era di poco conto, trattandosi di quasi 54 milioni di euro. La somma era richiesta indietro da un fondo pensione americano che aveva acquistato titoli tedeschi per un valore di 6,4 miliardi di euro per poi rivenderli poco dopo. A far insospettire la signora Schablonski vi era anche un altro particolare: il fondo pensione aveva un unico beneficiario. Valeva la pena fare qualche approfondimento.

Così, la solerte impiegata iniziò ad inviare delle richieste di chiarimento a tutti coloro che erano collegati con quelle operazioni di acquisto|vendita titoli. Investitore, banchieri, mediatori, consulenti... dislocati un po' in ogni parte del mondo si videro arrivare delle richieste cui fecero rispondere a degli uffici legali che, anche per non venir meno alla loro fama, lo fecero in maniera del tutto evasiva, ottenendo come risultato la certezza, da parte di Anna Schablonski, che in quella operazione vi fosse qualcosa di molto poco chiaro e che fosse indispensabile approfondire.

Ed è così, come racconta l'inchiesta pubblicata sul magazine tedesco Zeit, che la Germania è riuscita a venire a capo di una frode fiscale che, nel corso degli anni, ha tolto dalle casse dello Stato tedesco ben 32 miliardi di euro. E dopo che le indagini iniziate per puro caso solo grazie al puntiglio di una semplice impiegata, oggi la Germania si interroga su come ciò sia potuto accadere senza che nessuno, o quasi, se ne accorgesse. Ma non è proprio così.

Infatti, l'aspetto della vicenda ancora più grottesco è che quanto successo non fosse ignoto ai vertici che da anni hanno controllato e controllano le finanze della Repubblica Federale tedesca. Tutto fa capo alle imposte che gli investitori stranieri dovrebbero pagare in relazione ai dividendi delle azioni di società tedesche quotate in borsa da loro acquistate.

Delle norme poco chiare relative a questa materia hanno fatto sì che società finanziarie e banche mettessero in piedi un sistema che, alla fine del gioco, non solo non permetteva di pagare alcuna tassa, ma dava anche il diritto ad un rimborso fiscale! Soldi che poi venivano successivamente ripartiti tra investitori e broker. Tutto, ovviamente, secondo la legge... o quasi, visto che per le stesse operazioni sono anche stati richiesti più volte gli stessi rimborsi fiscali.

Il sistema era ritenuto tanto inattaccabile che Anna Schablonski, che per un certo periodo si è trovata da sola a gettare le basi di un'inchiesta tanto complessa, si è vista pure citare in giudizio personalmente, e non in relazione alla sua attività di ufficio, per essersi rifiutata di pagare i rimborsi fiscali richiesti.

Adesso che lo scandalo è scoppiato, questo vede coinvolte anche decine di banche tedesche, tra cui Commerzbank, Deutsche Bank, HypoVereinsbank, DZ Bank, HSH Nordbank e la banca dello Stato di Baden-Württemberg. Banche che adesso potrebbero, ed è molto probabile che ciò accada, essere chiamate a risarcire lo Stato delle perdite subite, al di là di altre eventuali conseguenze legali di carattere penale da parte di alcuni dei loro dirigenti.

Ma quello che sta emergendo è un "banchetto" a cui sembra abbiano partecipato anche molte aziende tedesche sia medie che grandi, fruttando loro molti milioni di utili. Lo Stato è sicuramente parte lesa in questa che si prospetta come la più grande truffa messa in atto in Germania, ma i vari Governi che si sono succeduti nel corso degli ultimi anni sembra che abbiano fatto di tutto per non occuparsi o ignorare il problema che, ripetutamente, veniva segnalato da diverse istituzioni.

Ad oggi, i rimborsi non dovuti concessi dallo Stato tedesco potrebbero ammontare all'astronomica cifra di 32 miliardi di euro.