In attesa che l'Elevato ci comunichi che cosa gli abbia detto il Supremo in relazione alla fuga di Dimaio dal Movimento e, in particolar modo, in attesa delle dichiarazioni di Conte, che potrebbe anche decidere di ritirare i suoi ministri e i suoi sottosegretari (quelli rimasti) dal governo limitandosi ad un appoggio esterno (in base al fatto che la "dipartita" dei dimaiani secondo alcuni sarebbe una manovra benedetta da Draghi), al momento si registrano le dichiarazioni di soddisfazione, per quanto accaduto, di coloro che dovrebbero essere i futuri alleati del partito di Luigi Di Maio.
"È finita una brutta storia, la storia del M5S. E nessuno la rimpiangerà".Luigi Marattin
"Di Maio ha fatto una inversione a U? Bene, ce ne rallegriamo ma sarà il tempo a dirci se l'inversione è sincera e il ravvedimento è operoso".Maria Elena Boschi
"La fine del M5S è un qualcosa che è iniziato con la fine del governo Conte. Capisco che qualcuno in questo momento stia soffrendo ma io non riesco sinceramente a non godere per quello che sta avvenendo".Matteo Renzi
E che dire poi delle dichiarazioni di Carlo Calenda:"Per chi non è mai sceso a patti con i 5S, non ci ha mai fatto un governo politico, rinunciando anche a cariche e ruoli, ha sempre messo in guardia il paese sulla loro inconsistenza, oggi è una bella giornata. La dissoluzione del nulla. Giriamo pagina".
Per chi avesse un po' di memoria, Calenda è la stessa persona che dopo essersi fatta eleggere al parlamento europeo con il Pd ha abbandonato i dem creandosi un partito ad hoc sfruttando l'etichetta di incompetente che ha distribuito e continua a distribuire via social a coloro che non gli stiano simpatici e che consideri loro avversari. In base a cosa? Qui sta il mistero, visto che si tratta dello stesso Calenda che al MISE considerò credibili i piani industriali di Etihad per Alitalia e di Alcelor-Mittal per l'Ilva e che spaccia come una rivoluzione senza precedenti il credito d'imposta concesso alle aziende per comprare pc, dischi rigidi e simili dandogli l'etichetta industria 4.0.
E che dire dell'altro Re Mida al contrario, il geniale Matteo Renzi, quello che ha mandato a casa Salvini, che ha mandato a casa Conte, che fa il governo Draghi, che manda in pezzi il M5s, quello che vince le cause, quello che vende più libri... insomma, il migliore di tutti che però nessuno vota o penserà mai di votare! Un motivo ci sarà?
Calenda, Renzi, Di Maio è tutta gente legata da un comune denominatore: quello di non dimettersi dalla "poltrona" a cui sono stati eletti dopo essersi presentati nel partito che hanno abbandonato. Curioso!
Pochi giorni fa Elio Vito, deputato di Forza Italia, si è dimesso dal partito ed ha inviato a Roberto Fico la propria lettera di dimissioni con cui annuncia di abbandonare il seggio a cui è stato eletto. Chapeau.
Calenda, Renzi, Di Maio e i loro seguaci non lo hanno fatto, pur continuando a dare lezioni di buona politica al mondo intero.
Per chiudere, riporto una recente riflessione di Gianni Cuperlo sulla scelta di Di Maio:
"... se si fonda un movimento anche e soprattutto su un messaggio di coerenza circa la non professionalità della politica (intesa come incarichi da perseguire per un tempo troppo lungo), insomma se sull’idea del tetto del doppio mandato (e persino del vincolo di mandato) si costruisce l’immagine e in fondo anche la sostanza di quel movimento, allora qualunque sia l’evoluzione e la maturazione va messo nel conto che depennare quel principio in corso d’opera avrà una ricaduta sul piano della credibilità per la politica stessa.Per chiarezza, io non credo che la logica del doppio mandato (del tetto del doppio mandato) possa rappresentare in alcun modo un elemento di garanzia sulla qualità, serietà, preparazione, di una classe politica. Ma nel momento in cui ti presenti al paese issando quella bandiera e la fai divenire l’elemento che definisce la tua alterità rispetto al mondo “altro”, non è proprio una banalità rinunciarvi senza mettere nel conto che ciò possa alimentare ancora di più la percezione di uno spazio pubblico, di un discorso pubblico, dove ciò che si dice non per necessità ha sempre da corrispondere a ciò che si fa.Un vecchio slogan del '68 recitava più o meno così: sei quello che fai".