Mai come in questa "seconda" parte della mia vita di turista si vide la somiglianza con la prima. Ora spesso con sorella e nipote al seguito e a spese (e vedremo la gratitudine), arrivati in zona dalla sera prima, diligenti come sempre da bravi genovesi, dopo aver dormito in un alberghetto familiare tra le brume di Gallarate, arriviamo a Malpensa freschi ed entusiasti, ma... ci spiace signori, c'è solo il biglietto per la Carmen.
Non si può riassumere in poche righe ciò che accadde, con mio cognato che fece addirittura chiudere l'agenzia di viaggi di Genova per sistemare il guaio, le telefonate tra la ragazza dell'agenzia e le addette al check in, e, nella sfiga, la "fortuna" che il volo era in ritardo di cinque ore. Come la prima volta: dovevamo arrivare di primo pomeriggio e finimmo con l'intravedere Manhattan che già imbruniva. E poiché questa volta eravamo atterrati a Newark, si faticava a cogliere subito il famoso profilo, perché arrivando da quel versante si vede il lato meno glam...
Intuii subito che non dovevo indugiare nei ricordi, ma essi mi afferravano ugualmente e non facevo che ripetere come tutto ciò che avevo visto stava cambiando - si era nel 2011 - ma soprattutto come era cambiato il mio inglese, non in meglio.
Si notava un atteggiamento diverso, questo sì meno isterico rispetto agli anni ottanta; è accaduto, ci verrà detto, dopo la tragedia; ma io vedo soprattutto un immenso cantiere, che mi ricorda quando buttavano giù la vecchia Genova per costruire i centri direzionali. C'era anche una vecchia NYC, e adesso immagino che tutto dovrà farla dimenticare. Moli in ristrutturazione, nuovi grattacieli uno più sghembo dell'altro, vecchi binari diventati piste ciclabili o da jogging, parchi rimessi a nuovo: tutto bello, tutto sempre meno "mio".
Nel frattempo era in piena espansione l'era Facebook e avevo fatto "amicizia" con una signora italoamericana di origine lucana come noi, circa mia coetanea, che carinamente mi invitò a farle visita almeno un giorno, fornendomi il suo numero di telefono.
Il giorno arrivò, l'ultimo della vacanza. Il marito, che non conoscevo ma avevo visto una volta in foto con lei, e avevo creduto di capire fosse una sorta di Danny De Vito un po' più alto, ci venne a prelevare in albergo, portandoci in giro lungamente a vedere cose e luoghi che da soli non avremmo mai raggiunto. Come sempre c'è un gap tra "loro", anche se, almeno, oggi gli italoamericani parlano benissimo l'italiano, e noi.
Il signore era così entusiasta di mostrarci lo stabilimento della Steinway, la moschea di Malcom X, Manhattan vista da Roosevelt Island, di cui ci racconta che è un quartiere per poco abbienti (mamma mia, ci vado subito) e infine, casa loro.
Sarebbe, a occhio e croce, una delle più piccole ville della zona (nel Queens elegante), eppure è enorme, con piscina of course, e ci abitano solo loro due (piccoli imprenditori), mentre i figli, più o meno trentenni, non si capisce cosa facciano; si sa solo, perché lo domando io, che comunque non spiccicano una parola di italiano, con dei genitori trilingue (sanno pure lo spagnolo, ormai a NYC pare quasi indispensabile); e infine, cena in un ristorante davvero italiano, tutto buono, nulla da dire.
E' evidente che in questa coppia, la quale segue regolarmente le trasmissioni italiane, a parte l'affiatamento sentimentale, esiste una differenza "ideologica". Lui, in qualche caso, sembra pronto a mettere in dubbio le ragioni degli USA, dove è giunto a vent'anni; lei, arrivata bambina, è invece una " noi contro tutti" e un breve accenno a "quel giorno" la fa già indignare e fremere di rabbia.
Una volta in Italia, i suoi post su Facebook diventeranno sempre più razzisti e intolleranti e dovrò privarmi di lei...