Il dodecaedro della violenza
Violenza. Quante definizioni di violenza conosciamo? Tante, troppe. Ne scelgo una, quella che più si accosta al mio pensiero: “Manifestazione di crudeltà per ottenere una condizione anomala di disagio della vittima”.
Ma quanti volti ha la violenza? Se dovessi associare la violenza ad una figura la ricollegherei al dodecaedro, poiché, come il dodecaedro, anch’essa ha più facce. Di queste ne vediamo solo alcune; purtroppo non ci si sforza abbastanza di comprendere i meccanismi subdoli attraverso cui la violenza opera e di scoprire, di conseguenza, la sembianza delle facce restanti. Atteggiamenti sprezzanti, urla, denigrazioni, manipolazioni; disegni perversi che spesso sfociano in epiloghi fatali.
L’errore in cui spesso incappiamo tutti, o quasi, è quello di normalizzare simili atteggiamenti, anziché prenderli per quello che sono: un campanello d’allarme. L’opinione che ci formiamo sulle questioni può essere rilevante. Nel caso della violenza un’adeguata risposta sociale può giocare un ruolo determinante e portare ad un cambiamento effettivo.
Per vincere una battaglia è essenziale conoscere l’avversario. La violenza è un avversario ostico: è strategica, camaleontica, silenziosa e può essere più letale del veleno di un Taipan. Per chi non ha mai vissuto dinamiche abusanti è sicuramente complesso cogliere le sue sfumature sottili, in più, il deficit dilagante di empatia che ci affligge, contribuisce a rendere il fenomeno della violenza una matassa ancora più difficile da dipanare.
Ma per quanto feroce sia questa bestia, con gli strumenti giusti, può essere stanata.