Quella appena trascorsa è stata una settimana atroce.

Tante vite spezzate, a Manchester e in Egitto. Tanti morti in mare. Tanto dolore. Tanta angoscia.

E come conforto?

Il volto mesto di un Papa impotente, il ritorno sui teleschermi della famiglia Addams in versione antipatica e senza Mano e, per finire, il G7del compromesso al ribasso, appagante soltanto per l’impunito che lo ha sabotato.

I Potenti della terra asserragliati in una Sicilia impenetrabile come neppure nei sogni più rosei di Matteo Salvini. Così vicini allo strazio quotidiano degli sbarchi e mai così lontani dal volerne condividere la responsabilità.

Le passerelle surreali di debuttanti e veterani, di first ladies e first husbands più o meno variopinti, tutti insieme appassionatamente  per le vie sigillate di una Taormina tirata a lucido e spaesata come gli sguardi dei suoi abitanti.

Il Grande cafone che non ascolta i suoi interlocutori e non si preoccupa di nasconderlo, e i grandi signori della “Diplomazia della semplicità”, che gli riconoscono (“credeteci o non”)  “volontà di interloquire e apprendere da tutti”. 

Le discussioni “vere” e, in quanto tali e solo per questo, “soddisfacenti” per il padrone di casa, che non ha ottenuto nulla di ciò che premeva all’Italia, ma che qualcosa doveva pur salvare oltre alla bontà della scelta della location, il cui merito ha elegantemente riconosciuto per intero al suo predecessore.

Ma che cosa si può davvero salvare di questo vertice ai limiti dell’assurdo?

Forse una cosa sola: l’impegno di Macron per una revisione del Trattato di Dublino e il riconoscimento (anch’esso personale) che il tema dell’immigrazione riguarda l’intera Europa. Un punto di vista, il suo, che Merkel, una volta vinte le elezioni, potrebbe condividere e sostenere apertamente. Speriamolo.

Il resto è solo fonte di nuove inquietudini.

Cominciamo dalla dichiarazione sul terrorismo, considerata da molti il grande, e unico, successo del vertice. Qualcuno, più propriamente, l’ha definita un “minimo sindacale”. In realtà, è ancora peggio di così, visto che “l’impegno comune” nella lotta al terrorismo non può certo rappresentare un punto di arrivo, ma è semmai la premessa tanto scontata quanto inutile di qualsiasi azione si voglia intraprendere.

Di fatto, il documento ribadisce una generica “cooperazione tra i 7” nello scambio delle informazioni. Richiama un po’ tutto il mondo all’adempimento delle risoluzioni ONU e delle Convenzioni ad hoc già esistenti e in prevalenza disattese. “Arruola” (bisogna vedere che ne pensano gli interessati) gli Internet Providers per “facilitare azioni investigative antiterrorismo” come la raccolta dati e l’individuazione di siti di propaganda e reclutamento.

Tutto qui.

Ma con precedenti recenti di cattiva, o pessima, cooperazione talmente gravi per cui vogliamo tutti sperare che il nostro governo si guardi bene intorno prima di scambiare informazioni con chicchessia.

Quali precedenti? Mi limito a quelli accaduti o resi noti nella settimana che è appena passata.

L’inefficienza della polizia, dell’intelligence e della magistratura locali nella vicenda di Manchester. Le rivelazioni sulle indagini in Gran Bretagna rilasciate dai “servizi” statunitense ai media.  I “sussurri” e le “grida” tra Trump e Putin sulla strategia per combattere l’ISIS. La richiesta (non si sa se accolta o meno, ma indecente) di Jared Kushner (genero di Trump) e Michel Flynn (ex consigliere di Trump per la sicurezza nazionale) all’ambasciatore russo Kislyak di potersi servire dei canali criptati della sua ambasciata per aggirare  i servizi di telecomunicazione del proprio paese. La vendita di armi statunitensi per centodieci miliardi di dollari all’Arabia saudita senza nessuna certezza che non ne venga “girata” una parte all’ISIS.

Gli altri punti in agenda a Taormina, certo non i meno rilevanti, potrebbero essere facilmente riassunti nel commento con cui tutta la stampa britannica ha stigmatizzato il vertice: “teso e antagonistico” e, aggiungiamo noi, irritante e patetico oltre che inutilmente dispendioso.

Il protezionismo è stato “frenato” ma non condannato; le pratiche commerciali scorrette (dei “tedeschi cattivi”) rilevate e bacchettate. Un punto per Trump e solo mezzo per Merkel. Checché  se ne dica, è andata così: non è stata partita pari.

Le convulsioni climatiche del pianeta sono rimaste al punto in cui erano: in piena evoluzione. A prendersene cura, ma senza poterle curare, un’indignata Klimakanzlerin Merkel, che con l’aiuto dei cinque volenterosi e, si spera, della Cina, dovrà vedersela con altri europei riottosi non meno di Trump e con  molti paesi emergenti che di inquinamento ambientale non vogliono neppure sentir parlare.

“Non arretreremo di un centimetro”, ha assicurato il nostro premier, e noi gli crediamo, così come confidiamo che le parole e gli scritti di Papa Francesco ottengano il miracolo della “conversione ecologica” nell’arco della settimana che Trump si è concesso per “pensarci su”.

I flussi migratori sono stati citati, ma solo come trascurabile incipit (“pur nella salvaguardi dei diritti umani e dei migranti e dei profughi …”) per introdurre la riaffermazione “del diritto sovrano degli Stati, individualmente e collettivamente, di controllare i propri confini e stabilire politiche nell’interesse nazionale e nell’interesse della sicurezza”.  Vivano i muri!

Poteva andare peggio?

Si che poteva.

Vuoi che a qualche sherpa di Trump non sia passata per la mente una bella revisione della Dichiarazione del 1948? Se è successo, auguriamoci che la proposta sia stata energicamente respinta e non soltanto rimandata ai festeggiamenti per il settantesimo anniversario, a dicembre dell’anno prossimo, in omaggio al principio che “la sede e il contesto  non sono mai irrilevanti”.

La guerra in Siria è stata ricordata, ma solo per chiarire che non è roba che interessi i Grandi della Terra. Il cerino acceso meglio passarlo agli alieni, a Mosca e a Teheran. Se non lo spengono, si bruciano e si ricomincia con le sanzioni: guai per loro, mica per i terrestri.

Infine, le donne. Sarà avviata una nuova “Road Map” tutta per loro, a soli 22 anni dalla Conferenza di Pechino che ne aveva già tracciata una da pochissimi percorsa.

Su questo niente da ridire, se non che più in alto si colloca l’asticella, più lunga è la rincorsa: pensate, le donne della terra vorrebbero tutte la parità dei diritti!

E i bambini?

Come raccomandano gli psicologi, gli diremo innanzitutto che non è per colpa loro se succedono le brutte cose anche agli innocenti. Poi, gli racconteremo la favola dei prepotenti e dei cattivi sconfitti dai lungimiranti e dai coraggiosi e del prossimo G20 che metterà a posto tutto.

E se i bambini, prendendoci il viso tra le mani e guardandoci negli occhi, ci domanderanno se siamo per caso impazziti, risponderemo sorridenti che sì, forse è così, ma di sicuro non per colpa nostra.