La normalizzazione dell’antisemitismo
Uno tra i molteplici paradossi che il XXI sec., volente o nolente, impone, è emerso a seguito del brutale attacco del 7 ottobre 2023 contro Israele. Alla proditoria e feroce incursione contro la popolazione civile al confine tra Israele e la striscia autonoma di Gaza, invece di assistere a delle manifestazioni di solidarietà a sostegno, quantomeno morale, per le vittime, si è per converso osservato lo stucchevole spettacolo di moltitudini che, da Londra a New York, passando per Sydney o Pisa, applaudivano i carnefici! In alcuni casi persino con aggressioni dirette contro cittadini di origine ebraica, come nel caso dell’omicidio di Paul Kessler, il 5 novembre 2023, ammazzato in strada dal professor Loay Alnaji – non è ironia, questo tizio insegna davvero in un’università della California.
Per chi abbia ancora senso e buonsenso, tali atti e manifestazioni si palesano tanto nella loro assurda immediatezza quanto come sintomi, ben preoccupanti, della normalizzazione di un odio anacronistico che, dopo i tragici eventi dello scorso secolo, si riteneva, quantomeno in Occidente, seppellito come mero ciarpame della storia. I media, adusi a riportare l’orrore come se fosse mero evento, quasi una delle tante perline di una collana di carneficine ed abiezioni, hanno riportato il mostruoso attacco contro Israele lasciandovi solo il guscio: Hamas abbatte la recinzione di confine, sparacchia, ammazza – evitando accuratamente di tematizzare gli stupri – e si ritira. Tutto qui. Le notizie immediatamente seguenti riguardavano la dichiarazione del sottosegretario tal dei tali, questa o quella vicenda salace e, in chiusura, qualche soubrette, cantante, influencer e tutto il solito caravanserraglio in strass e chiffon che, curiosamente, le televisioni sembrano aver sempre a portata di mano. Niente analisi, nessuna riflessione morale, nessun approfondimento storico se non il contrario. La fase successiva è stata affidata ai talk show i quali, seguendo un metodo ben collaudato, hanno messo sulle poltroncine di cartapesta i soliti “opinion leader” malignamente orientati contro Israele per i quali anche dei bambini fatti a pezzi davanti ai loro genitori non contano.
Quando, in risposta all’attacco terroristico, Israele mobilita l’esercito per liberare i propri ostaggi e sconfiggere le belve di Hamas che, invece di utilizzare gli aiuti internazionali a beneficio della popolazione avevano costruito chilometri di tunnel per l’evenienza, gli opinionisti escogitano un’ambigua nozione di “umanità”, “diritto internazionale” e chi più ne ha più ne metta. Certa gente, ad esempio, continua a ripetere a pappagallo “i bambini di Gaza” come se “i bambini d’Israele”, uccisi o rapiti, non fossero anch’essi bambini. La guerra è sempre orrore e tematizzarlo solo da una parte, senza voler distinguere tra aggressori ed aggrediti, significa esser ciechi, disonesti o dementi. Le pantomime nei media, anche a dispetto del loro vuoto cognitivo, funzionano nell’indirizzare verso l’oscuramento della realtà e nel determinare un’avversione irrazionale contro uno Stato barbaramente attaccato ed ingiustamente vilipeso. In sostanza, questa comunicazione generalista conduce, scientemente, dalla parte delle belve. I fautori di questa comunicazione si mostrano – e non da ora – comprensivi con gli aggressori ed inflessibili con le vittime. È allora evidente che, prestando attenzione agli insensati, si finisce per non riuscire più ad orientarsi nella realtà del tempo ed il risultato saranno azioni prive di senso e discernimento. Quelli che si pongono acriticamente dalla parte dell’orrore pretendono pure di spacciarsi come morali! Le telecamere mostrano un putiferio di gente mascherata che strepita, per le strade, slogan apertamente antisemiti e questo dopo il più sanguinoso pogrom avvenuto dopo la Shoah! Come si spiega tutto questo?
Questi eventi, e la desolazione etica ed intellettuale che li accompagna, possono aver colto di sorpresa chi non abbia letto A state beyond the pale. Europe’s problem with Israel (2009) di Robin Shepherd o The Devil That Never Dies: The Rise and Threat of Global Antisemitism pubblicato da Daniel Goldhagen nel 2013 e, curiosamente, mai tradotti in italiano. Una tra le motivazioni principali che, nel 1949, portarono al riconoscimento dello Stato d’Israele da parte delle Nazioni Unite era l’ingombrante presenza della tragedia storica della Shoah e l’enorme debito morale dell’Occidente verso il popolo ebraico. L’Europa era all’epoca ben consapevole di non avere la coscienza a posto, di aver commesso crimini di una portata tale da dividere la storia in un prima ed un dopo e questo argomento morale ha avuto un peso determinante nella scelta politica di riconoscere uno Stato che esisteva già di fatto. Oltre settant’anni dopo questo ricordo è ormai svanito e gli antisemiti fanno presa su questo vuoto per mostrare i loro grugni in strada, infestare le università ed impestare la rete e le televisioni, mentendo senza ritegno e senza che nessuno ribatta, protesti o ricordi. Storie che si ripetono.
Ne Il vecchio maestro di Vasilij Grossman, un racconto del 1943, viene narrata una scena in cui il medico di un villaggio russo, poco prima dell’arrivo della soldataglia nazista, si reca dal vecchio professor Boris Isaakovič perché si aspettava, da lui, “una spiegazione” su quanto stava accadendo: “Da dove viene quest’infezione dello spirito? Che cos’è? Psicosi di massa? Follia di massa? Stregoneria?” Isaakovič però tace perché sa che l’odio ed il delirio da cui sorgono sempre l’orrore ed il male non si prestano ad una risposta autenticamente razionale. Da qui l’ennesimo paradosso emerso a seguito del brutale attacco del 7 ottobre 2023.