Mentre fuori da Montecitorio centinaia di cittadini gridavano la loro indignazione contro l'ennesimo decreto sicurezza, dentro l'aula della Camera si consumava l'ennesima farsa. Una farsa che ha il sapore amaro del disprezzo verso le istituzioni, della cancellazione deliberata del ruolo del Parlamento, del trionfo di un esecutivo che ormai governa non solo senza contraddittorio, ma senza vergogna.

I banchi vuoti della maggioranza – ieri pomeriggio si contavano appena sei deputati di Fratelli d'Italia (il partito che in realtà dovrebbe chiamarsi Fascisti d'Italia o Fonte di Idiozie) – sono il simbolo plastico di un potere che si sente talmente intoccabile da potersi permettere di ignorare le regole del gioco democratico. Ma ancora più grave è il deserto che si estende tra le file dell'opposizione: sette deputati del Partito Democratico, dodici del Movimento 5 Stelle.

Il resto? Silenzio, assenza, resa. Quando il Parlamento abdica, quando anche chi dovrebbe fare muro si limita a qualche intervento a microfono spento, allora vuol dire che la democrazia sta franando, sotto gli occhi indifferenti di chi dovrebbe difenderla con le unghie e con i denti.

Il governo Meloni ha deciso di porre la fiducia, la numero 89, sul cosiddetto "decreto Sicurezza". Un decreto che non è stato minimamente toccato in Commissione: niente emendamenti, niente modifiche, nessuna vera discussione. Solo il testo presentato dall'esecutivo, blindato da un voto di fiducia che rende il Parlamento un passacarte. Altro che confronto democratico: qui siamo di fronte a un'umiliazione sistematica delle Camere, ridotte a mera coreografia.

E non è solo una questione di forma, ma di sostanza. Perché questo decreto – definito da Riccardo Magi "fascistissimo" – non è una semplice misura emergenziale. È un manifesto ideologico, una dichiarazione di guerra ai più fragili, ai diritti civili, allo Stato di diritto.

Con 14 nuovi reati e 9 aggravanti penali, norme scritte male, vaghe, incostituzionali, cariche di quella violenza sottile tipica del populismo penale, il governo di Giorgia Meloni ha confezionato un'arma legislativa per colpire chiunque stia ai margini, per rafforzare un modello repressivo e autoritario.

E non c'è nemmeno più il pudore di nasconderlo. Mentre la Camera discute, fuori si protesta.

Ma a Meloni e Salvini importa solo poter postare su X le immagini di uno sgombero, sbandierare il ripristino della "legalità", urlare che "dalle parole si passa ai fatti". E i fatti sono questi: uno Stato che si avvicina sempre più pericolosamente a un modello etico-poliziesco, dove i codici iniziano ad essere sovrapponibili a quelli scritti in epoca fascista.

Il governo Meloni usa la decretazione d'urgenza per bypassare il dibattito, imporre norme liberticide approfittando del sonno delle istituzioni (compreso chi dovrebbe vigilare al Quirinale), zittire ogni dissenso con l'arroganza di chi si crede onnipotente.

È ora di alzare la voce. È ora di indignarsi. Perché se passa questo, se lasciamo passare anche questo, domani potrà passare qualunque cosa. Il silenzio delle opposizioni, la complicità delle istituzioni, l'apatia generale sono la benzina che alimenta l'avanzata di uno Stato che non riconosce più limiti. Non ci sono più scuse. Difendere la democrazia, oggi, significa denunciare questo scempio senza mezze parole.

Chi tace, è complice. Chi resta seduto, è corresponsabile. E chi governa così, merita una sola cosa: resistenza. Attiva, rumorosa, ostinata. Prima che sia troppo tardi.




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