Siamo davanti a un atto di violenza istituzionale travestito da legge. Il cosiddetto "decreto sicurezza", approvato alla Camera a colpi di fiducia e in spregio a ogni regola basilare del confronto democratico, è l'ennesima tappa di una deriva autoritaria che non possiamo permetterci di normalizzare. È una misura profondamente anticostituzionale, tanto nella forma quanto nella sostanza. Non ci giriamo attorno: è un attacco frontale allo Stato di diritto e a chiunque osi dissentire.
Forma è sostanza. E questa sostanza puzza di autoritarismo.
Il decreto riprende un disegno di legge in discussione fermo da mesi al Senato. Non c'era alcuna "straordinaria necessità e urgenza" – pretesto ormai logoro per scavalcare il Parlamento – perché un CdM dovesse includerne i contenuti in un decreto, su cui in Commissione e in Aula non c'è stato alcun dibattito, solo imposizione. E quando si impone con la forza, entra in campo la fiducia. Ma fiducia in cosa, esattamente? Nella democrazia o nel manganello?
Già, il manganello. Perché ogni norma repressiva ha il suo corollario fisico: il pestaggio, la carica, l'umiliazione.
Chi manifesta viene bastonato. Le piazze, oggi più che mai, diventano bersagli. Non è un effetto collaterale. È un messaggio chiaro: "Zitti e a casa". Criminalizzare la protesta è una tecnica vecchia, ma sempre efficace quando si vuole mantenere l'ordine di chi comanda. Gli studenti, gli operai, gli ambientalisti: tutti schedati, puniti, messi a tacere. Persino chi si siede per terra a protestare rischia anni di carcere. È repressione pura. Non mascheriamola con le parole.
Il conflitto è il cuore della democrazia. Se non lo capisci, non dovresti governare... oppure se lo capisci, allora vuoi "comandare".
La protesta è un diritto. Non un fastidio da gestire o un reato da punire. Le norme di questo decreto, invece, puntano a cancellare il dissenso dal panorama politico e sociale del Paese. Le aggravanti per chi manifesta, per chi occupa, per chi resiste passivamente sono una dichiarazione di guerra a chi non si allinea. E mentre i margini vengono schiacciati, si testano le armi repressive che poi verranno rivolte a tutti. O pensate che resterà confinato ai centri per migranti?
L'altro pilastro che cade è l'uguaglianza. E con lui, ogni pretesa di civiltà.
Norme apertamente discriminatorie, che prendono di mira chi ha la colpa di essere povero, straniero, madre, senza tetto. Si sanziona la povertà, si punisce l'occupazione di immobili da parte di chi non ha un tetto sulla testa, si ignora il diritto all'abitare come se fosse un capriccio e non un diritto costituzionalmente protetto. Siamo a un passo dal ritorno alla legge del più forte, dove chi cade viene calpestato.
E mentre si bastona il basso, si premia l'alto.
Polizia con licenze d'armi, benefit, tutela legale: lo Stato si identifica con l'ordine pubblico, non con l'istruzione, la sanità, l'inclusione. Siamo passati da uno Stato sociale a uno Stato punitivo. Uno Stato che non protegge i diritti, ma li sopprime in nome del "decoro", della "sicurezza", del "buon senso" – tutte parole svuotate, usate per giustificare il controllo e la paura.
È guerra. E se c'è un nemico, c'è anche un amico. Ma non siamo noi, non sei tu. Sono loro.
Questo decreto costruisce un nemico interno – il manifestante, il povero, il migrante – e santifica l'amico fedele, l'uomo armato in divisa. È la logica binaria della guerra applicata alla società civile. Non esiste più il pluralismo, esiste l'obbedienza. Non c'è più cittadinanza, ma sudditanza.
Allora sì, dobbiamo indignarci. Dobbiamo scendere in piazza, nei tribunali, ovunque sia possibile fare opposizione. Perché questo decreto non è "solo" una legge ingiusta. È una bomba sotto le fondamenta della democrazia. E il silenzio sarebbe complicità.
Disobbedire è necessario. Manifestare è d'obbligo.