Le persone di cui parliamo sono alcune tra le tante scomparse e mai ritrovate, considerate morte, con relativa condanna del presunto omicida. Si presume perché, se un processo indiziario è difficile con il corpo della vittima a disposizione, senza di esso occorre costruire dei teoremi accusatori impervi, ancor meno dimostrati.

Mariella Cimò è una bella signora catanese di 72 anni, amante dei cani, infatti ne custodisce a decine nel giardino della sua villetta a San Gregorio; è sposata con un signore piuttosto dandy, Salvatore Di Grazia, da cui non ha avuto figli. Si tratta di una coppia benestante, proprietaria di un autolavaggio gestito da lui. Il 25 agosto 2011 la donna sparisce. Il marito non sembra così preoccupato di ritrovarla e gironzola anche per trasmissioni a tema, alquanto spavaldo. I nipoti di Mariella però non si arrendono, danno battaglia. Vengono fuori faide familiari: lui è dipinto come un playboy mai domo, stufo delle scenatacce della moglie, che avrebbe anche in mano i cordoni della borsa; dal canto suo, Di Grazia accenna al temperamento focoso e indocile della consorte, sposata già matura e vissuta, che sarebbe scappata in cerca di emozioni e accusa i nipoti di lei di aspirare all’eredità. Nessuno ha visto niente (a parte l’improbabile testimonianza di due giovani che avrebbero notato la signora a una fermata d’autobus, che lei però non prendeva mai); esiste un video di lui con un grosso contenitore di plastica sul portabagagli e la prova dedotta che la poveretta è stata vista entrare in casa, ma non uscire. Tra varie peripezie le indagini vanno avanti, fino alla sentenza dello scorso ottobre. Viene inflitta una pena di venticinque anni al vedovo, peraltro ormai ottanquattrenne, il quale avrebbe ucciso Mariella, occultandone il cadavere (s’è parlato di averne fatto pasto per i cani, poi sopressi), e sottraendo una somma da casa, spesa successivamente.

Roberta Ragusa è una splendida donna, figlia unica, genitori deceduti, cresciuta praticamente in casa dei datori di lavoro, i Logli, tanto che ne sposerà il figlio Antonio e lavorerà nella gestione della loro autoscuola. Nascono due figli. La sera del 13 gennaio 2012, l’avvenente 45enne è provatamente a casa sua, a Gello di San Giuliano Terme, Pisa, villino adiacente all’attività di famiglia, ma l’indomani mattina Antonio sarebbe già in giro a cercarla poiché, svegliandosi la mattina, a suo dire, non l’ha trovata a letto.

Abbiamo tutti seguito questa vicenda, piena di stranezze sia dal punto di vista colpevolista che dal suo contrario. Anche qui abbiamo dei combattivi parenti (due cugine) e soprattutto un’opinione pubblica ferocemente avversa allo scontroso ( e per molti arrogante) marito. I genitori di lui provano a difenderlo, ma senza molta convinzione ( anche perché papà Valdemaro viene sfiorato dai sospetti, e si ritira in buon ordine), mentre spunta un supertestimone, il giostraio pregiudicato Loris Gozi, che in realtà non ha visto un bel nulla di significativo. Si ascoltano le solite intercettazioni slegate dal contesto, peraltro – almeno quelle conosciute – anch’esse prive di un particolare valore.  Poco opportuno è apparso che l’amante di Antonio, baby sitter e impiegata Sara Calzolaio, dopo aver tradito la fiducia della datrice di lavoro, si sia velocemente ficcata al suo posto in casa; e sconcerta la difesa appassionata del padre da parte dei figlioli, allora ragazzini, Daniele e Alessia (lei, bellissima già apparsa come una ruspante influencer). In realtà gli psicologi hanno una spiegazione per tutto e gliela lasciamo. Poiché Antonio è stato condannato a vent’anni supponiamo dunque che, in una gelida notte, nel giro di sei ore, egli abbia ucciso in qualche modo la prorompente Roberta ( non un fuscello) e, impacchettatala, poi abilmente sepolta, perché, ricordiamolo: la Ragusa è stata una delle scomparse più cercate in assoluto. Parlare ancora del dismesso forno crematorio ci appare bislacco.

Francesca Benetti, insegnante di ginnastica di origini venete/lombarde, solare cinquantenne, separata con due figli, per qualche motivo non molto spiegato si trasferisce in zona Follonica, provincia di Grosseto, acquisendo un casale che non riesce a gestire da sola, per cui si affida a un fattore siciliano, il settantenne Antonino Bilella,  che dal Piemonte, dove ha vissuto una vita con moglie e due figli a propria volta, dopo quarant’anni di matrimonio si separa e finisce anche lui in Toscana, dove ha opportunità di lavoro e avrebbe trovato un clima più adatto a lenire gli acciacchi.

Il 4 novembre 2013 la donna, che soffriva di una particolare malattia legata alla carenza di calcio e andava soggetta a malori, sparisce dalla magione circa verso mezzogiorno. Poco ci vuole perché venga accusato Antonino, che vive in una dépandance regolarmente affittata. Invaghito della padrona, la molestava e non la soddisfaceva nemmeno per le mansioni di cui era incaricato, quindi era ormai prossimo il suo licenziamento, il movente c’è; gli indizi sono più psicologici che reali ( due macchioline di sangue dicono poco, ma lui che tenta di rottamare la propria auto pochi giorni dopo fa karahiri). In verità, lo stalking era presente nel passato di lei ( un ex denunciato), mentre il Bilella, fino ad allora calmo e tranquillo, sarebbe esploso nella terza età, forse per solitudine. Inoltre una manciata di testimoni, anche amici suoi, non ne parlerà troppo bene, risultato: ergastolo.

Guerrina Piscaglia, una cinquantenne di Ca’Raffaello, territorio border line tra Toscana ( cui appartiene amministrativamente), Marche e Romagna, è molto provata dalla vita. La vediamo sposa graziosissima, la ritroviamo nelle ultime foto bolsa e sofferente, soprattutto per la malattia dell’unico figlio. Così lei e il marito Mirko Alessandrini, ormai fisicamente distanti pur se conviventi, probabilmente chiudono un occhio ciascuno sulle diversioni dell’altro ( che nel caso di lui, sembrerebbero attestate in un servizio di “Chi l’ha visto?). In paese è arrivato un frate congolese, Gratien Alabi, perché le vocazioni italiane scarseggiano e ormai in giro per l’Italia troviamo spesso parroci esotici; lì poi, c’è più di un collega del rinominato “padre Graziano”, proveniente dall’Africa.

Il primo maggio 2014 Guerrina viene vista camminare elegante e truccata (ma gli orari non danno certezze); c’è il famoso sms sull’arrosto di coniglio e la promessa di far l’amore; e un messaggio che tradirebbe la francofonia di chi l’ha scritto ( nel tentativo, però, di sembrare italiano). La curia si defila è il “père” si affida ai legali del suo consolato, mentre partono i veleni sulla sua scarsa propensione alla castità ( sarà il solo?)

Il robusto Alabi rivendica l’onestà di essere rimasto in Italia, mentre avrebbe potuto sparire tra i villaggi congolesi quando era ancora in tempo, ma dimentica di aver “screditato” la parrocchiana scomparsa, dandola in fuga con un fantomatico zio Francesco. Della povera Piscaglia si perdono le tracce. Graziano viene condannato a venticinque anni.

Esaminiamo e compariamo brevemente i quattro casi. Mariella e Roberta vengono eliminate presumibilmente di notte dai mariti, le altre due in pieno giorno da amanti o aspiranti tali; i coniugi delle prime due hanno risolto il problema di condurle fuori di casa, forse agevolati dall’isolamento dell’abitazione; gli altri due, non del posto, sono riusciti a disperdere ogni prova in territorio non particolarmente conosciuto; nonostante l’era già imperante di telefonini e satellitari, non c’è traccia dei percorsi, in più padre Graziano non guidava.

Un complice?