Come ormai molti sanno, ieri sul Financial Times è uscito un articolo di Tony Barber, European Editor (questa la qualifica ufficiale) del quotidiano londinese, che sostiene l'inutilità delle riforme di Renzi e smonta le argomentazioni dei sostenitori del Sì al referendum.

Barber fa notare come il bicameralismo perfetto non abbia rallentato il lavoro parlamentare. Lo dimostra il fatto che il parlamento italiano ogni anno ha approvato più leggi di quante non ne siano state approvate in Francia, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti. E, del resto, la mancanza di una maggioranza al Senato non ha impedito a Renzi di far approvare leggi come il Jobs Act.

Nemmeno i più di 60 governi in 70 anni, secondo Barber, si possono imputare alla presenza del Senato, ma piuttosto alla frammentazione del quadro politico, conseguenza della frammentazione sociale, economica, geografica e religiosa dell'Italia.

L'editorialista non risparmia critiche nemmeno all'Italicum, che definisce una cattiva riforma, cucinata da Renzi insieme a Berlusconi.

Secondo Barber, la vittoria del No non destabilizzerà l'Italia, alla faccia di Benigni (ma era davvero lo stesso di "Berlinguer ti voglio bene"?), che l'ha definita un'eventualità peggiore della Brexit.

La conclusione di Barber è spietata e vale la pena di riportarla letteralmente:

"Al contrario, una vittoria potrebbe portare alla follia di mettere l'obiettivo tattico della sopravvivenza di Renzi davanti alla necessità strategica di una sana democrazia in Italia."

Naturalmente, la scodinzolante schiera dei fedeli pennivendoli de l'Unità non poteva rimanere indifferente ad un tale affronto al leader. Ieri è intervenuto il solito Rondolino che, dopo aver accusato Tony Barber di essersi contraddetto, conclude scrivendo che "per le sciocchezze bastano e avanzano i giornali italiani". C'è da chiedersi se questa voleva essere un'autocritica o se Rondolino si era dimenticato che stava scrivendo per l'Unità, che fino a prova contraria è un giornale ed è italiano.

Ma non ci si poteva fermare lì ed allora è toccato a Mario Lavia, il quale ha scritto un pezzo riparatore dal titolo: "Il FT fa sapere che la linea dell’articolo critico su Renzi non è quella del giornale".

Con un titolo così si pensa subito che sul Financial Times siano state pubblicate almeno due righe per prendere le distanze da Barber. In realtà, non è così. E, del resto, se lo fosse stato sarebbe stato davvero strano. L'autore dell'articolo tanto inviso a l'Unità non è un editorialista occasionale, ma il principale responsabile del giornale per i temi riguardanti l'Europa.

Leggendo il testo di Lavia si capisce che non di smentita ufficiale si tratta:

"Il giornale londinese, per vie interne, lo ha fatto sapere ai sostenitori della campagna per il Sì al referendum."

Ah, quindi una smentita riservata a pochi privilegiati, per non specificate vie interne. Forse per Renzi era meglio se il FT faceva conoscere la smentita agli indecisi, invece che a quelli che già votano Sì. A questo Lavia non ha pensato.

Ma l'articolo di Lavia sembra essere volutamente ambiguo, perché continua così:

"La presa di distanza dall’articolo di Barber, di cui Unità.tv ha dato conto in mattinata, è stata ulteriormente ripresa – con tanto di virgolettato del Ft – da Huffington Post Italia in un pezzo del vicedirettore Gianni Del Vecchio."

"...tanto di virgolettato del Ft"? Ma allora, si tratta veramente di una smentita ufficiale pubblicata sul quotidiano inglese ... No, andando a leggere l'articolo dell'Huffington Post il virgolettato riguarda le parole di una certa Kristina Eriksson, capo delle relazioni esterne del FT, che, contattata dall'Huffington Post, ha definito quella di Barber una delle "tante diverse opinioni nelle nostre pagine dei commenti".

Fra l'altro, una spiegazione che non ha convinto nemmeno l'Huffington Post, data la posizione rilevante che Barber occupa nella redazione del giornale.

Insomma, una gran confusione. Di certo c'è solo che la smentita del Financial Times non c'è mai stata e che l'articolo di Tony Barber, con buona pace de l'Unità, finirà per lasciare il segno, grazie alla forza delle sue argomentazioni. Che l'autore abbia cambiato o meno opinione rispetto al passato, come sostiene Rondolino, poco importa.

A proposito, mi sembra di aver spesso sentito dire, forse anche dallo stesso Rondolino, che "cambiare opinione è segno di intelligenza". O forse si tratta solo di uno slogan per giustificare un comportamento fin troppo frequente nel nostro paese.

Un po' mi secca, ma a Rondolino questa volta devo dare, in parte, ragione, almeno quando dice a cosa servono i giornali italiani: le sciocchezze.