Domenica, Hamas ha pubblicato un documento di 16 pagine in cui ha riassunto la sua versione dei fatti in relazione a quanto accaduto il 7 ottobre in quella che hanno denominato Operazione Alluvione Al-Aqsa.

Un resoconto che Hamas definisce necessario per rispondere a tutte "le cospirazioni israeliane contro il popolo palestinese".

All'inizio del 7 ottobre i combattenti di Hamas hanno preso d'assalto le comunità lungo la recinzione meridionale di Israele con Gaza, uccidendo almeno 1.139 persone, per lo più civili, fino a farne prigioniere altre 240, di cui un centinaio sono state rilasciate durante una tregua durata sette giorni alla fine di novembre, in cambio della liberazione di centinaia di prigionieri palestinesi dalle carceri israeliane.

Israele ha accusato i combattenti di Hamas di aver commesso innumerevoli crimini di guerra durante l'attacco, tra cui torture, stupri e mutilazioni. Hamas, invece, respinge  con forza le accuse di violenze sessuali e mutilazioni.

Lo scopo dell'operazione, secondo Hamas, era quello di prendere di mira i siti militari israeliani e catturare soldati da utilizzare per fare pressione sulle autorità israeliane affinché poi rilasciassero le migliaia di palestinesi detenuti nelle carceri israeliane, oltre che come risposta alla campagna israeliana di costruzione di insediamenti e "giudaizzazione" delle terre palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme e all'uccisione di migliaia di civili palestinesi iniziata dal 2000.

Ma allora perché uccidere i civili?

Per le Brigate Qassam, il braccio armato di Hamas, evitare di nuocere ai civili "è un impegno religioso e morale", aggiungendo che se ciò in qualche caso è accaduto è stato solo accidentalmente nel corso dello scontro con le forze di occupazione o per errori dovuti a causa del rapido collasso del sistema militare e di sicurezza israeliano e del caos causato nelle aree vicino a Gaza, precisando che 
molti israeliani sono stati uccisi dall'esercito e dalla polizia dello Stato ebraico.

Nel documento si ribadisce anche che il popolo palestinese ha la capacità di decidere il proprio futuro e di organizzare i propri affari e che nessun partito al mondo ha il diritto di decidere per suo conto.


Le conseguenze dell'attacco di Hamas, che non va dimenticato è stato favorito dall'incomprensibile venir meno delle procedure di sicurezza dei servizi e dell'esercito israeliano (che della sicurezza fa un biglietto da visita a promozione del proprio prodotto interno lordo), sono poi state utilizzate dallo Stato ebraico come leva per radere al suolo Gaza, sterminarne i civili e fare altrettanto in Cisgiordania, anche se però in quel caso Israele non si prende neppure il disturbo di motivare i suoi raid.

Questa scelta è valsa ad Israele l'accusa formale di genocidio da parte del Sudafrica davanti alla Corte Internazionale di Giustizia e la progressiva protesta di gran parte della popolazione contro  Netanyahu e il suo gabinetto di guerra accusati di non avere a cuore la sorte degli ostaggi. Infatti, alcuni di loro - come annunciato dalla propaganda di Hamas - sarebbero morti a causa dei bombardamenti israeliani. Tre, per certo, sono stati uccisi da colpi di arma da fuoco di soldati israeliani che, nonostante la bandiera bianca e l'assenza di armi, li hanno scambiati per miliziani della resistenza palestinese.

Negli ultimi giorni, oltre alle proteste interne, il governo Netanyahu deve anche iniziare a fronteggiare quelle della comunità internazionale per il numero dei civili finora massacrati a Gaza e per il fatto che il premier israeliano e alcuni dei suoi ministri hanno apertamente dichiarato che in nessun caso Israele potrà mai accettare di convivere con uno Stato palestinese, mettendo così in braghe di tela tutto il cosiddetto occidente che finora aveva detto di supportare in Palestina una soluzione a due Stati, facendo intendere che non fosse stata ancora attuata solo a causa di Hamas.


In queste ore l'IDF ha aumentato la pressione militare su Gaza e in particolare intorno a Khan Younis e Rafah dove è letteralmente ammassata gran parte della popolazione della Striscia, costretta a sopravvivere in condizioni disperate e umilianti, senza mezzi sufficienti per la propria sopravvivenza.