A cura di: Ufficio Stampa Sorgente Genetica
Ogni mamma desidera il meglio per il proprio figlio. Durante i nove mesi di gravidanza, una gestante si può sottoporre a esami di screening prenatale, come il Bitest o il test del DNA fetale, oppure a esami di diagnosi prenatale, come l’amniocentesi o la villocentesi, procedure però più invasive. Inoltre, per affrontare serenamente la gravidanza, esami e visite non bastano: bisogna anche avere qualche accorgimento, come prediligere un’alimentazione sana, non fumare ed evitare l’assunzione di alcol.
In particolare, consumare bevande alcoliche in gravidanza, può portare a gravi problemi nel feto. La sindrome feto-alcolica (FAS) è la disabilità permanente più grave che si manifesta proprio quando il feto viene esposto durante la vita intrauterina ad alcol, consumato dalla madre tramite l’assunzione esagerata di bevande alcoliche[1].
In soli pochi minuti dalla sua assunzione, l’alcol ingerito dalla gestante arriva al feto, il quale però non possiede ancora gli enzimi per metabolizzarlo, per cui l’alcol e i suoi metaboliti tendono ad accumularsi nel suo sistema nervoso e in altri organi, finendo con il danneggiarli[1].
La FAS è la manifestazione più grave dovuta al consumo di alcol in gravidanza, ma ci sono altri problemi nel feto che si possono verificare per via dell’intossicazione da alcol durante la vita fetale. Tra questi problemi troviamo anomalie nella forma del cranio e della faccia, rallentamento della crescita e disturbi dello sviluppo neurologico che portano a disabilità comportamentali e neuro-cognitive[1].
La FAS invece comporta disabilità primarie e secondarie. Le prime includono: dismorfismi facciali (come occhi piccoli e distanziati, naso corto, labbro superiore sottile, padiglioni delle orecchie poco modellati), ritardo nella crescita e anomalie nello sviluppo neurologico del sistema nervoso centrale.
Le disabilità secondarie invece, compaiono più tardi nel corso della vita e dipendono dalla mancata diagnosi e dal mancato trattamento delle disabilità primarie. Si tratta generalmente di problemi di salute mentale, assenza di autonomia, esperienza scolastica negativa, problemi sul lavoro, problemi con la legge, isolamento e comportamento sessuale non corretto[2].
Nonostante medici e ginecologi ribadiscano che sia fondamentale astenersi completamente dal consumo delle bevande alcoliche durante la gravidanza, ogni anno 199.000 bambini nel mondo nascono affetti dalla sindrome feto-alcolica. Questo dato è emerso da uno studio condotto dall’Università di Toronto e pubblicato sulla rivista scientifica The Lancet Global Health, effettuato con lo scopo di stimare il numero di donne che consumano alcol in gravidanza e i numeri associati allo sviluppo della FAS. Complessivamente è emerso che il 10% delle donne consuma bevande alcoliche in gravidanza. La percentuale in Europa raggiunge il 25% e in Italia il 50% (ovvero 1 donna su due) mentre i tassi più alti sono stati registrati in Russia e nel Regno Unito[3].
Per analizzare il consumo di alcol in una donna durante la gravidanza esistono tre metodi:
- analizzare la storia del consumo da parte della gestante;
- determinare la presenza di biomarcatori del consumo alcolico materno;
- determinare la presenza di biomarcatori neonatali di esposizione.
Alcuni studiosi americani, hanno suggerito di prendere in considerazione i seguenti biomarcatori di esposizione all’alcol nel sangue materno: Acetaldeide associata al sangue intero (WBAA), Volume globulare medio (MCV), Transferrina Carboidrato-carente (CDT), Gamma-Glutamiltranpeptidasi (GGT), Asparato Aminotransferasi e Alanina Amiontransferasi (AST: ALT)[2].
Stime derivate da studi scientifici dimostrano che bastano 30 grammi di alcol al giorno, per avere valori alterati in almeno uno di questi parametri, mentre la positività a due o più biomarcatori può comportare che il bambino nasca con un peso, un’altezza e una circonferenza del cranio inferiori alla norma[2].
Non assumere alcol è dunque fondamentale. Tuttavia, anche se si segue questa accortezza, è bene comunque sottoporsi, durante la gestazione, a tutti gli accertamenti e agli esami di routine previsti. Molto utili per la rilevazione delle anomalie cromosomiche nel feto sono ad esempio i test di screening prenatale come il test del DNA fetale: si tratta di un esame precoce che permette di sapere già dalla 10° settimana e con un’affidabilità del 99%, se il feto è affetto o meno da un’anomalia genetica.
Per saperne di più sul test del DNA fetale: www.testprenataleaurora.it
Fonti:
1. Ministero della Salute – salute.gov.it
2. Guida alla diagnosi dello spettro dei disordini feto-alcolici – a cura dell’Osservatorio OSSFAD
3. Fondazione Veronesi – fondazioneveronesi.it