Le due capitali d’Italia, la politica e quella “ morale” si fronteggiano ( o sarebbe meglio parlare al passato) su molti aspetti, rivendicando l’una, Roma, la primazia culturale, storica, quasi genetica sulla creazione dell’Italia, l’altra, Milano, il primato economico, che molte fortune politiche pure ha generato.
Certamente sul piano della criminalità le due metropoli sono andate a braccetto: fenomeni negativamente proattivi, trainanti per una nazione sempre meno tranquilla, a stento uscita dalle rovine del terrorismo, ancora inzaccherata dalle mafie, subito ghermita dalle nuove forme di violenza. Sulle cause di quest’ultima, i dibattiti sono aperti e tuttora infuriano.
Nel 2007, epoca di confusione governativa e disordine economico/sociale imperversanti, a pochi giorni di distanza si verificarono due fatti delittuosi di pari ferocia, che richiamarono però quote di attenzione ben diverse.
Il 30 ottobre Giovanna Reggiani, una tranquilla signora borghese di 47 anni, casalinga, moglie di un alto militare, torna a casa dopo il disbrigo delle sue attività, tra le quali spicca la direzione del coro della chiesa valdese di cui è fedele. La coppia non ha figli e abita nei pressi di Tor di Quinto, in un edificio di una schiera riservati a quel tipo di dipendenti statali; non è poi quel gran posto ma, se si utilizza un mezzo proprio, non ci sono particolari problemi. E’ tragicamente strano che in quella giornata piovosa la donna, che portava con sé l’ombrello, avesse deciso di prendere il cosiddetto “trenino” e percorrere a piedi una strada nota per essere circondata da accampamenti nomadi. La prudenza avvertita socialmente sconsigliava di frequentarla, soprattutto al buio, ma a volte si abbassa la soglia di attenzione: è un breve tragitto, che vuoi che succeda.
Sappiamo che la povera donna fu trovata attinta da colpi contundenti e morì per emorragia dopo il trasporto all’ospedale; e che fu condannato un rom/romeno, il 24enne Nicolae Romulus Mailat. Come si arrivò a individuarlo, nel dedalo delle tende e nell’intrico di personaggi che vanno e vengono in queste terre di nessuno? Una donna del campo andò incontro ai primi intervenuti, tra i quali un autista ATAC, urlando appunto il cognome di Mailat e indirizzando con precisione e senso civico di solito introvabili tra quelle comunità, mai viste né prima né dopo, verso la baracca del presunto responsabile. Riguardo a questa stranezza, ricordiamo il cosiddetto “delitto della minestrina”, sempre a Roma, nell’anno 2000, vittima Francesca Moretti, compagna di un capo nomade, invitando a vedere la puntata che vi abbiamo dedicato.
https://youtu.be/BaPAyWcMEU0
Il drammatico evento suscitò un uragano di critiche al governo, di cui approfittò ampiamente l’opposizione, minando il neonato Prodi bis, che infatti cadde di lì a poco. Giovanna è stata sempre commemorata, a volte ricordandone le elevati doti morali, altre per ripescare le ideologie buone a riempire colonne di giornali più o meno impegnati e riattizzare le solite contrapposizioni, astuzia sempre utile nel nostro paese.
Pochi giorni dopo, la sera del 13 novembre, nel capoluogo lombardo, stanno dormendo tranquillamente nel proprio letto il ginecologo Marzio Colturani, 64 anni, e il figlio Luca. Il fratello maggiore vive per conto suo, la mamma è mancata un paio d’anni prima. Si tratta di una famiglia facoltosa. L’appartamento, in quartiere Fiera, ridonda di oggetti di valore, dai quadri all’argenteria, oltre a gioielli di pregio. In giro si trova anche qualche somma di denaro liquido. La porta, blindata, è difesa da una serratura ricercata, con chiavi riproducibili solo presso la casa produttrice.
Apprendiamo dalle udienze che il ragazzo venne svegliato da un soggetto che lo percosse, imbavagliandolo e legandolo, ma lasciato in vita; meno fortunato fu il papà, picchiato, soffocato dal nastro adesivo e quasi incaprettato. Per mera comodità espositiva riportiamo, da “Il Giorno”, 18 aprile 2014 “… ( ai rapinatori ndr) erano state date le chiavi dalla domestica Tatiana Mitrean…Ma quanti sono gli assassini di Colturani? In una via crucis di indagini e processi (si arriva a quattro) la storia che si dipana da sei anni e mezzo non è ancora finita. Anzi, sentenze appena pronunciate e già passate in giudicato (ma rimaste inedite) e un dibattimento appena iniziato ( il 2 aprile) indicano che si è spostato il tiro dai primi killer su altri, ancora...”. Da Il Giornale, 12/12/2018 “…Tatiana, la ragazza di cui si fidavano, che avevano accolto in casa loro - aveva aperto la porta. Podaru era stato condannato in primo grado a ventisei anni di carcere. La Corte d'appello nel 2016 lo aveva assolto, con una sentenza che nell'agosto scorso la Cassazione aveva demolito. Ma nel frattempo Podaru era stato scarcerato. Così ieri si apre il processo a un fantasma, a un imputato che nessuno sa dove sia attualmente, e che in caso di una condanna non sarà facile riportare in carcere ad espiare la pena…” E ancora da Il Giornale, 22/5/2019 “Non c'è ancora la parola fine nella vicenda processuale sull'omicidio del ginecologo Marzio Colturani… A distanza di 12 anni ieri si è concluso con un'assoluzione il processo d'appello «bis» in Corte d'assise a carico di Adrian Podaru”.
Ma nel frattempo, come leggiamo su Milano.corriere.it - 22 agosto 2011, uno dei condannati in primo grado, che aveva manifestato segni di cedimento già in aula, prende una decisione: “ Quel giorno, giovedì scorso, non ha voluto spostarsi. Avrebbe potuto, come ha fatto il suo compagno di carcere, perché la televisione non funzionava. Serghiei Dragan, 32 anni, non ha accettato la concessione ed è rimasto da solo nella sua cella. Qualche ora dopo, intorno alle tre di notte, si è impiccato nel carcere di Opera...”
Il furto, in realtà, risultò bislacco, in quanto furono trascurati oggetti in vista, ma prelevate molte gioie dalla cassaforte in camera da letto del dottore, aperta con la chiave anche se, dalle foto, è visibile il meccanismo della combinazione, evidentemente non attivata. Dei quadri trafugati, leggiamo sempre, otto furono rinvenuti pochi giorni dopo in un giardino a Settimo Milanese.
I giovani Colturani dichiararono che la colf era referenziatissima, assunta poco prima della morte della loro mamma: pur se appare strano che una domestica poco più che ventenne disponesse degli attestati di lodevole servizio necessari, in genere, alla servitù del ceto abbiente, ma è andata così, o meglio, ancora non sappiamo come.
Un fatto è sicuro: di questo crimine si è parlato ben poco ed è bene ricordare i drammi a catena che ha generato e le verità ancora in sospeso.