Cronaca

Le ong bloccano le operazioni di soccorso nel Mediterraneo centrale. E adesso?

In Italia, e non solo, l'attenzione dell'opinione pubblica è relativa solo a tutto ciò che riguarda il coronavirus, e per tale motivo i gestori della propaganda  leghista hanno ritenuto superfluo o inutile far rilasciare a Matteo Salvini dichiarazioni di giubilo all'annuncio che le Ong non riprenderanno, almeno a breve, le attività di soccorso nel Mediterraneo centrale.

Le navi di Ocean Viking, Sea watch, Open Arms e Mare Jonio - causa divieti, ostacoli burocratici, mancanza di finanziamenti - sono ferme in porto, mentre le partenze di migranti dalla Libia sono riprese. 

In un comunicato, di cui di seguito sono riportati alcuni passaggi, la ong Mediterranea Saving Humans descrive l'attuale situazione:

Tra gennaio e febbraio Mediterranea ha ottenuto il dissequestro della nave Mare Jonio e della barca a vela Alex: una conquista fondamentale, senza nulla togliere all’amarezza per il tempo che ci hanno fatto perdere tra ricorsi, appelli, udienze, ispezioni e quant’altro, mentre potevamo stare in mare, ad aiutare persone che ne hanno bisogno, a fare il nostro lavoro.Eravamo pronti a ripartire, con la tenacia e la determinazione di sempre: pronte le navi, pronti gli equipaggi.Ma lo svilupparsi della pandemia nella quale ci troviamo immersi, e le sacrosante misure adottate per tentare il contenimento del contagio, e per tentare di salvare le persone più fragili ed esposte, ci impone oggi congelare l’attività operativa in mare. Per ragioni di obbligo e di scelta, che ci impongono di rispettare prescrizioni sanitarie e limiti negli spostamenti che rendono impraticabile per il nostro equipaggio raggiungere adesso Licata, porto di partenza della missione, e imbarcarsi in tempi ragionevoli, ma anche per valutazioni sulla sostenibilità generale della missione stessa in questo momento. Dunque, da qui la decisione di congelare la partenza della nostra missione in mare, monitorando giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, l’evolversi della situazione fino a quando l’emergenza COVID-19 renderà possibile tornare ad essere operativi. Gli effetti di questa scelta obbligata ci fanno soffrire, perché in mare c’è chi rischia la morte ogni giorno. Dopo tre settimane di maltempo, le partenze sono inevitabilmente ricominciate. 

E quale destino attende quelle persone che fuggono dalla Libia? Se non saranno molto fortunate e non riusciranno a raggiungere le coste italiane o maltesi, per loro esistono due solo possibilità: annegare o finire di nuovo nei centri di detenzione libici. Una eventualità, la seconda, non così tanto meno tragica rispetto alla precedente.

Nel frattempo, Alarm Phone pochi giorni fa ha pubblicato un comunicato in cui denuncia quello che a tutti gli effetti appare un accordo di fatto tra Malta e Guardia costiera libica, in base a quanto accaduto sabato 14 marzo, quando la RCC di Malta, in coordinamento con l'agenzia di frontiera dell'UE (Frontex), ha consentito ai libici di intervenire all'interno della propria zona SAR. 

Invece di conformarsi alle convenzioni sui rifugiati e sui diritti umani, le autorità maltesi hanno coordinato una grave violazione del diritto internazionale e del principio di non respingimento, poiché le persone soccorse devono essere sbarcate in un porto sicuro. Chiaramente, la Libia non è un porto sicuro ma un luogo di guerra e violazioni sistematiche dei diritti umani.

Autore Fabrizio Marchesan
Categoria Cronaca
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