RECENSIONE

“La seconda volta non lo so ancora!”: queste le parole di Maverick (Tom Cruise) in risposta ad una domanda di Charlie (Kelly McGillis) che scrivono la parola “Fine” alla pellicola “Top Gun”.

La fine della storia di “ricerca” di un pilota di caccia della marina americana, che finalmente ha raggiunto l’equilibrio da tanto inseguito a causa degli accadimenti di guerra in cui il padre, grande pilota di caccia, era stato coinvolto perdendo infine la vita. Sommato a questo, la perdita del suo compagno di volo verso cui provava un affetto fraterno e di cui si sentiva responsabile.

La storia narra del tenente Pete “Maverick” Mitchell, pilota di caccia della marina americana, e del suo navigatore, il sottotenente Nick “Goose” Bradshow, i quali, dopo il ritiro del primo pilota “Cougar” per un attacco di panico dopo aver incrociato due Mig russi, sono inviati alla scuola piloti più prestigiosa d’America, Top Gun, per un ulteriore periodo di addestramento. Qui Maverick incontra l’istruttrice Charlie e fra i due nasce un’intesa amorosa. Durante un volo di addestramento l’aereo di Maverick stalla e cade in mare, provocando la morte del navigatore Goose, di cui Maverick si sente responsabile. Alla fine del corso Maverick, che inizialmente voleva abbandonare per la scomparsa dell’amico, si presenta alla festa di fine corso e da lì i piloti partono per l’Oceano indiano in servizio su una portaerei. C’è subito un’allerta, poiché due Mig russi sono entrati nello spazio aereo americano, ma che poi i Mig diventano sette. Il combattimento inizia ma i piloti americani si trovano in difficoltà per la superiorità numerica, allora viene fatto partire Maverick che, giunto sui cieli di scontro sembra non voglia combattere. Ma poi, dopo un’ultima occhiata alle piastrine di riconoscimento di Goose, Maverick entra in azione abbattendo quattro aerei russi. I superstiti se ne vanno. Al ritorno sulla portaerei c’è grande festa, e il comandante della nave fa sapere a Maverick che dopo questa azione eroica può scegliere di andare dove desidera. Maverick decide per la scuola Top Gun, dove ritrova Charlie che è tornata per lui.

Il contorno delle spettacolari scene di manovre dei caccia in combattimenti simulati, e infine in un reale scontro con il nemico, è la cornice a un interiore disagio che segna il modo di volare del protagonista, un geniale istinto innato per quel mestiere che soltanto alla fine riuscirà a praticare, scevro da un qualsiasi senso di rivalsa ed emulazione del genitore di cui finalmente aveva conosciuto la storia, e la riuscita elaborazione della perdita dell’amico di volo.

Un totale cambiamento di Maverick, che per quasi tutto il film ha agito guidato soltanto dall’istinto, mentre la ragione prevaleva soltanto quando il fatto era compiuto, e assicurava il compagno Goose che sarebbe cambiato. Ma ciò puntualmente non avveniva; l’istinto sovrastava la razionalità nel momento in cui lasciava la terra in basso e si ritrovava fra le nuvole, padrone del cielo e di quel velivolo a cui faceva fare le manovre più impensabili, finalmente libero di esprimere, nell’ampio spazio senza confini e dissacrazione delle regole, il suo Ego che prendeva il sopravvento soltanto quando immerso nell’aria, nel grande silenzio contaminato dai reattori dei caccia e dal crepitio delle armi.

E l’alto momento in cui l’accettazione della perdita dell’amico di volo lo vede lanciare in alto mare le piastrine di riconoscimento che i militari portano al collo, e che lui aveva conservato per sé, segna una ritrovata serenità e pace interiore, il perdono di se stesso e il raggiungimento di quella maturità che aveva guidato l’istinto, ma che d’ora in avanti sarà l’ispiratrice della sua nuova vita come istruttore Top Gun, e finalmente valvola regolatrice della sua storia d’amore con Charlie, l’istruttrice da cui si era separato perché trasferita per un avanzamento di carriera e la concomitante morte dell’amico in volo.

La regia sapiente, la fotografia suggestiva e la colonna sonora coinvolgente ne fanno un film che ancora oggi, dopo il lancio della pellicola nel 1986, è considerato un capolavoro. Nel 1987 viene riconosciuto il Premio Oscar per la miglior canzone – Take My Breath Away – a Giorgio Moroder e Tom Whitlock, eseguita dai Berlin.