Negli ultimi 70 anni in Nuova Zelanda, circa 200.000 bambini, giovani e adulti affidati a orfanotrofi, case famiglia, ospedali psichiatrici e altre istituzioni statali e religiose sarebbero state vittime di abusi. Questo è il risultato di una indagine indipendente iniziata nel 2018 sui presunti abusi su minori o persone vulnerabili affidate alle strutture di cura statali e religiose che, dal 1950 al 2019, ha interessato circa 650mila neozelandesi.
Secondo il rapporto, in 70 anni, circa 200.000 persone, praticamente una su tre, avrebbero subito abusi di diverso tipo (fisici, sessuali, verbali o psicologici) negli istituti cui erano stati assegnati. Il rapporto dice anche che raramente i responsabili degli abusi hanno dovuto affrontare qualche tipo di conseguenza.
Addirittura alcuni bambini sono stati sottoposti a sedute di elettroshock che ha provocato loro delle convulsioni, mentre altre vittime hanno denunciato abusi sessuali da parte di persone del mondo ecclesiastico. Molti hanno riferito di traumi persistenti che hanno alimentato dipendenze e altri problemi.
Secondo il rapporto, dietro gli abusi c'era spesso una motivazione razziale, in particolar modo nei confronti dei Maori o delle persone provenienti dalle isole del Pacifico, cui sono state impedite anche pratiche legate alla loro cultura.
Il rapporto definisce inoltre "comune" l'abuso sessuale, iniziato "quasi sempre" dal primo giorno della presa in custodia e spesso proseguito fino alla sua fine.
Il governo della Nuova Zelanda ha promesso compensazioni a tutte le vittime. Il primo ministro Christopher Luxon ha detto anche che però in questa fase è ancora troppo presto per stimare l'importo che il governo prevede di pagare a titolo di risarcimento, o per assicurare che i funzionari coinvolti nella copertura degli abusi perderanno il lavoro.