Porro e Gervasoni ci spiegano la libertà di parola secondo il fascio-sovranismo
È indiscutibilmente divertente, quanto al tempo stesso patetico, l'arrabattarsi del propagandista - travestito da giornalista - Nicola Porro, che da sponsor del liberismo berlusconiano adesso si è fatto portavoce del fascio-sovranismo salviniano.
I tempi cambiano e bisogna adattarsi. Niente di cui sorprendersi.
Una delle ultime infervoratissime filippiche, il "giornal-propagandista" Porro l'ha dedicata a Ilaria Cucchi, colpevole di essersi espressa sulla vicenda che ha visto protagonisti alcuni carabinieri di Piacenza, da tempo fedeli a tutto, ma non certo all'Arma.
Stavolta non lo ha fatto direttamente, ma con l'aiuto di un suo collega, lo "storico" Marco Gervasoni, alfiere e cantore del fascio-sovranismo.
Che cosa ha detto Ilaria Cucchi nel commentare quanto accaduto a Piacenza, in rapporto alla vicenda che l'ha toccata da vicino con la morte del fratello, morto in seguito alle percosse subite dai carabinieri che lo avevano arrestato?
«Basta parlare di singole mele marce. I casi stanno diventando davvero troppi. Il problema è nel sistema».
Per lo storico Gervasoni, Ilaria Cucchi non avrebbe dovuto pronunciare queste parole. Perché? Eccolo spiegato di seguito.
«Che competenze, che conoscenze, che sensibilità politica sulla materia ["esperta di questioni di sicurezza"] possiede, oltre al fatto di essere indirettamente una vittima degli abusi di alcuni esponenti delle forze dell'ordine? A occhio, nessuna.»
Poi, Gervasoni si esibisce in un confronto tra sinistra e destra su chi sfrutti più "pudicamente", dal punto di vista politico, i "suoi morti"! Inutile dire che a vincere sia la destra, a causa della... «tradizione comunista e antifascista, che costruì tutto un martirologio delle vittime della "reazione" e del "fascismo". In questa visione totalizzante e totalitaria del mondo, non era concepibile che i parenti potessero aderire a una causa diversa da quella del defunto, e quindi spettava a loro continuare il combattimento del padre o del marito».
Forse a questo punto varrebbe la pena iniziare a preoccuparsi per il suo stato di salute. Ma Gervasoni cerca di rassicurarci in questo modo:
«Questo retaggio politico antropologico si sposa però con una tendenza più recente che il filosofo francese Robert Redeker nel suo ultimo libro, "Les Sentinelles d'humanité. Philosophie de l'héroïsme et de la sainteté", chiama "paradigma vittimario". L'Occidente in decadenza, che ha perso identità e soprattutto voglia di combattere, non esalta più gli eroi ma le vittime, meglio ancora se inconsapevoli. E alla vittima o ai suoi parenti devono essere accordati privilegi, a cominciare da quello della immunità alla critica. Quale essere mostruoso oserebbe polemizzare con chi ha avuto padre, marito o fratello ucciso?Ebbene, noi che a questo paradigma non ubbidiamo, abbiamo poche remore a criticare, nel rispetto delle forme e nella civiltà dell'argomentazione, quando la vittima sbaglia nei suoi giudizi. Come è il caso, appunto, di Ilaria Cucchi».
A questo punto, però, invece che preoccuparci per una persona, bisogna esserlo per due! Ma in fondo, sarebbe tempo perso, visto che queste persone - almeno a parole - fanno intendere di credere realmente a quel che dicono.
Meglio pertanto riportare la parole con cui Ilaria Cucchi ha commentato la vicenda:
«Dunque, fatemi capire. Esiste una categoria di eletti che va in televisione un giorno sì e un giorno no, giustamente ne hanno legittima facoltà.Poi esiste una categoria di cittadini “sfigati” le cui famiglie sono state vittime di soprusi ed ingiustizie che hanno la fortuna di poter far sentire pubblicamente la propria voce, ma nel momento in cui lo fanno diventano mitomani che sfruttano le tragedie di cui sono vittime. In ogni caso non devono mai farsi portatori di battaglie di giustizia e di libertà perché facendo così sfruttano soltanto i loro morti.Mah. Sicuramente tutto ciò è frutto di un'apprezzabile e profonda analisi culturale».