Quella mattina andai al teatro San Carlo di Napoli dove avevo un appuntamento con Salvatore Accardo.

Entrai e un gentile signore si offrì di accompagnarmi dal maestro. Attraversammo stanze, corridoi e cunicoli piccoli e grandi. Sembrava di essere in un labirinto senza fine.

Dopo vari saliscendi, arrivammo in un ambiente stretto e lungo e cominciai a sentire in lontananza una stupenda melodia, era il meraviglioso suono di un violino; subito capii di essere vicino alla meta. Entrai in una stanza laterale dove vidi Accardo che smise di suonare e mi salutò agitando l’archetto con la mano destra.

Dopo i soliti convenevoli cominciammo a parlare di musica. Cosa poteva chiedergli immediatamente, un'amante come me di antiquariato e di oggetti d'arte in generale? "Maestro, ma è vero che lei possiede due autentici violini Stradivari?"

Lui senza parlare mi fece cenno di seguirlo mentre si dirigeva verso alcune custodie che erano su di una panca in fondo alla stanza; delicatamente come se stesse scoperchiando uno scrigno prezioso, ne apri una: dentro c'era uno splendido violino. Io volevo accostarmi ma lui con gentilezza mi fece capire che non dovevo toccarlo.

Rimasi estasiato da quella visione, dalle calde venature di quel legno lavorato trecento anni fa da Antonio Stradivari. Non avevo mai visto così da vicino uno strumento che è sicuramente un'icona per tutti ed ero affascinato, quasi ipnotizzato da quell’opera d’arte.

Poi il maestro mi disse che per lui il violino era come il prolungamento del suo corpo, cosa che mi colpì molto, perché anche io ho sempre affermato lo stesso della mia fotocamera. Dopo tutte queste emozioni ci mettemmo al lavoro.

Scattai molto e poi scelsi una polaroid manipolata che avrei pubblicato nel mio libro “trentuno napoletani di fine secolo” e un'altra in bianco e nero più tradizionale, in cui mi piacevano i suoi occhi socchiusi e il volto assorto e concentrato, come immerso in una sorta d'ispirazione.

Quella era stata proprio una mattinata da ricordare e raccontare.


Augusto De Luca