Politica

L'Italia s'è desta?

La buona politica fa buone leggi, la cattiva politica fa cattive leggi. È ordinaria amministrazione che arrivino in Parlamento disegni di legge martoriati dai compromessi frutto velenoso di accordi tra i vari schieramenti che rappresentano primariamente gli interessi del potere economico. L’ultima delusione è la regolamentazione delle attività dei lobbisti all’interno del Parlamento: i lobbisti sono i “piazzisti” della grande imprenditoria che hanno l’incarico di influenzare le scelte dei governi in materia di investimenti pubblici o garantire, con leggi ad hoc, speculazioni di ogni genere. Sono le remore che si accompagnano agli squali e si nutrono degli avanzi rimasti tra i denti entrando nelle bocche lasciate aperte appositamente da questi predatori. Sono una vera e propria iattura per ogni democrazia, la loro presenza e le loro prerogative rappresentano una gravissima discriminazione per tutti coloro che operano nel settore economico e in particolare la piccola e media imprenditoria che non è rappresentata e subisce lo strapotere delle grandi entità economiche che sottraggono la maggior parte delle risorse pubbliche lasciando solo le briciole a coloro che rappresentano di fatto la maggioranza del tessuto economico sano del paese.

In Italia hanno poca fantasia, i lobbisti sono un prodotto americano trapiantato in un paese dove si pratica il parassitismo economico; in America i capitali investiti dalle imprese sono privati e pagano le imposte perché se non lo fanno li arrestano e vengono espulsi dalla società civile. Sono due realtà diverse ed incompatibili perché l’America con i suoi vecchi alleati non vogliono un’Italia libera da vincoli e servitù sia economici che politici altrimenti non avrebbe senso che il più duro colpo all’economia dello Stato fu sferrato dal governo Amato che dopo un mese e nove giorni, dal discorso che fece Draghi, il 2 giugno 1992, sul panfilo Britannia sul quale c’erano la regina Elisabetta e 100 delegati della City londinese, emise il decreto legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, con il quale trasformò le aziende di Stato IRI, ENI, INA e ENEL in società per azioni che furono svendute dai governi successivi, specialmente dal governo Prodi; quest’ultimo ebbe anche l’onore di convertire 1 euro contro 1936 lire come pretese la Germania, tale operazione determinò il deprezzamento del 100% del potere d’acquisto della nostra moneta dovuto anche ai continui ed incontrollati aumenti dei prezzi di tutti i generi soprattutto alimentari e il contemporaneo abbassamento del livello di qualità e la mancanza di controlli.

Da queste decisioni scaturì  gradualmente la crescita della povertà (e lo volevano anche eleggere Presidente della Repubblica). Da quel momento è stato svenduto di tutto senza alcun beneficio per la collettività: quel patrimonio doveva essere la nostra assicurazione contro la povertà per noi e per le generazioni future invece ci ritroviamo spogliati e un debito pubblico stratosferico.

L’attuale governo dei migliori rappresenta la continuità di questo gioco al massacro neoliberista infatti con la firma a sorpresa del Trattato tra Italia e Francia - quest’ultima sta riallacciando i legami  con la ormai consolidata cordata con la nuova (si fa per dire) dirigenza politica della Germania (dove terzo possibile membro della triade sicuramente sarà la Spagna) – che stabilisce per accordo delle parti la nostra subalternità economica alla Francia, dopo questo ennesimo affronto alla nostra dignità di cittadini questo salvatore della patria  ha anche la spudoratezza di proporre al Parlamento un disegno di legge che liberalizza la concorrenza “fino al punto di porre a gara sul mercato europeo e internazionale persino il servizio dei taxi e quello delle spiagge”: prepariamoci a consegnare le chiavi delle nostre abitazioni ai francesi & C.. 

Non c’è un piano di sviluppo economico concreto né progetti validi che diano una qualche indicazione positiva per un futuro diverso dallo sperpero; le delocalizzazioni all’estero continuano indisturbatamente ma soprattutto emerge una mancanza di volontà atta a migliorare la situazione generale allora che senso ha destinare metà dei fondi del Pnrr all’AV? 

Questi dati mostrano la cattiva coscienza che questo squallido governo ha nei confronti dell’Italia del sud infatti il ministero dei trasporti prevede un investimento di miliardi per ridurre i tempi di percorrenza del trasporto passeggeri, vediamo i vantaggi di questa spesa folle: per percorrere la linea Napoli-Bari in 2 ore rispetto alle attuali 3 ore e 30 minuti; la Palermo-Catania in 2 ore rispetto alle attuali 3 ore e ridurre di 80 minuti la Salerno-Reggio Calabria. In particolare la Salerno-Reggio Calabria molti tecnici hanno apertamente dichiarato e relazionato la sua inutilità: per 445 km vi sono 22,8 miliardi di budget, primi lotti ultimati nel 2030.   Riporto testualmente alcune valutazioni giustamente critiche di esperti in merito ad alcune decisioni prese dal ministero dei Trasporti.

Rfi, responsabile della rete, vuole metterci pure il trasporto merci: “Questo comporta un raddoppio dei costi di costruzione, per la realizzazione di gallerie, ponti e curve ad ampio raggio, in grado di far transitare anche il trasporto merci che pesano oltre mille tonnellate”. “Peccato che sull’AV italiana non passi neppure un convoglio di questo tipo” spiega Francesco Russo, docente di Ingegneria dei Trasporti all’Università Mediterranea di Reggio Calabria e portavoce di un gruppo di docenti siciliani e calabresi che in un documento ha proposto di puntare sì sull’AV fino a Reggio Calabria, ma usando una tecnologia più leggera e passando dalla costa, così da dimezzare i costi. “Le risorse risparmiate potrebbero servire per modernizzare i porti di Augusta e Gioia Tauro, creare le smart road e puntare sull’AV tra Catania e Palermo, dove oggi si viaggia a non più di 100 km/h”.

Ogni giorno sulla linea Tirrenica Sud ci sono solo 10 treni tra Roma e Reggio Calabria, il più veloce dei quali impiega quasi 5 ore, “ma la scarsità dell’offerta non dipende dalla linea, che è a doppio binario e viaggia quasi tutta a oltre 180 km/h – aggiunge Paolo Beria del Politecnico di Milano – per migliorare la tratta non serve l’AV. Basterebbe aumentare il servizio”.

Un altro problema, dice Edoardo Zanchini di Legambiente, “è che più ci si allontana dai grandi centri, meno passeggeri si avranno e minore sarà la redditività socio-economica. Ed essendo un settore a mercato, le compagnie ferroviarie vanno dove c’è guadagno: si rischia di avere la linea AV nel Sud pronta, ma vuota”. 

Il ministro Giovannini, con una laurea in Economia e Commercio, non è d’accordo e ricorda che nessuno credeva all’aumento della domanda sulla Milano-Roma e ora due terzi dei passeggeri non usa più l’aereo (ne dubito): “E poi al Sud l’investimento sarà anche sulle reti regionali. Il Pnrr non basta, lo so. Per questo sto incontrando i presidenti delle Regioni per convincerli a dirottare parte del Fondo di coesione verso i treni”.

Il riferimento è ai 23 miliardi del Fondo di coesione e a parte degli 83 miliardi di fondi strutturali 2021-2027. Da fare c’è parecchio, come ricorda Legambiente nel rapporto Pendolaria: “Tra Napoli e Bari non esistono treni diretti, tra Cosenza e Crotone serve un cambio e 2 ore e 40 minuti per 115 km, mentre le corse dei regionali in Sicilia sono 493 al giorno contro le 2.300 della Lombardia, 4,6 volte in meno con solo metà della popolazione”.

Tra il nord e il sud del Paese ci sono due realtà economiche diverse, esigenze diverse, problematiche diverse, contesti socio/ambientali e culturali diversi per questo emerge chiaramente la volontà di affidare la gestione della metà del Pnrr alle imprese del settentrione che assorbiranno direttamente e indirettamente l'intero finanziamento europeo perché politicamente hanno il monopolio delle grandi opere pubbliche, questa è una ulteriore ingiustizia e dileggio per metà del Paese, quello che sorregge il peso degli egoismi del nord e paga le conseguenze delle scelte neoliberiste che hanno prodotto miseria e sottosviluppo in vari continenti, distruggendo il futuro dei paesi ricchi di materie prime ma privi di tecnologie per sfruttarle.

Cambiamo argomento. Patuanelli (5S) spiega come funziona il “governo”: “il premier ascolta tutti e poi decide perché è l’unico modo per governare con questa maggioranza”, sarebbe il caso che spiegasse agli italiani cosa intende con “questa maggioranza”. In merito alle agevolazioni accordate al ceto medio-superiore (€ 75.000 l’anno - € 6250 mensili) è stato dato un aiuto per non mandarlo in povertà, queste sono state le motivazioni presentate da Lega, FI, FdI, IV e accolte dal premier infatti saranno queste fasce di reddito che li voteranno alle prossime elezioni, ecco quanto costa la dignità della fascia medio-alta dei cittadini. Alle fasce più basse hanno accordato un assegno unico e altre quattro prese in giro ben confezionate che non cambiano le reali condizioni. Con queste condivisioni i 5S di Grillo suppongo si sono giocati la poltrona.

Riconsoliamoci un poco. Dopo un lunghissimo letargo si sono risvegliati i sindacati con uno sciopero generale. Apriti cielo! Testualmente.  Per Matteo Salvini (Lega) lo sciopero generale è “folle, assurdo”: “Landini si è montato la testa e non vuole bene all’Italia”. Tajani (FI) chiede “la revoca” della mobilitazione: “Un errore” che mette a rischio “la ripresa economica”. Per Antonio Librandi (Iv) è “una pura follia a danno degli interessi del Paese”. Pure Carlo Bonomi è stato costretto: “a prendere atto, con grande amarezza, del fatto che solo una parte del sindacato ha accolto l’appello a un confronto concreto” (la Cisl). Il presidente di Confindustria profondamente “abbacchiato” replica: “Lo sciopero è un problema per l’Italia” perché “in una diatriba tra una parte del sindacato e il governo chi viene penalizzato è il lavoro”. “Come sempre c’è qualcuno che scenderà in piazza e gli imprenditori andranno in fabbrica per mandare avanti l’Italia”. Poverini come sudano!

Grande risposta di Landini: “Credo che Bonomi non debba scioperare, a lui non lo abbiamo chiesto. Capisco che a chi ci rimette una giornata, perché scioperare costa, stiamo chiedendo un sacrificio. Lo so che costa e non so se Bonomi se ne rende conto, perché credo che in vita sua uno sciopero non lo abbia mai fatto, non ha mai avuto il problema di doversi battere per migliorare la condizione sua e degli altri, perché lo sciopero è anche un atto di solidarietà”. Poi rivolgendosi alla Cisl: “Se scendono in piazza il 18 vuol dire che anche per loro le cose non vanno bene. Lo sciopero nostro e della Uil sostiene la piattaforma unitaria che, insieme anche con la Cisl, avevamo presentato al governo: andiamo in piazza per sostenere le richieste che anche loro hanno fatto insieme a noi”.

Landini affronta anche il problema dello “stupore generale “che ha colto il governo tutto. Allo “stupore “del ministro del lavoro Orlando e di Enrico Letta replica: “Io sono stupito dello stupore perché, se ci si stupisce, evidentemente non si capisce la realtà dove si vive: c’è una situazione di malessere che è sotto gli occhi di tutti e, se le forze politiche non capiscono e succede che il 50% dei cittadini non va a votare, deve suonare un campanello d’allarme”.  

Il governo ha ignorato tutte le richieste dei sindacati che si possono sintetizzare così: sono contrari alla cancellazione dell’IRAP (tassa sui liberi professionisti) che serve a finanziare la sanità pubblica; sono stati distratti 8 miliardi destinati ad aiutare i lavoratori e i pensionati; una decontribuzione temporanea doveva diventare permanente per aiutare l’85% della popolazione che vive con meno di 35.000 € l’anno (€ 2.900 mensili) e già questi se la possono cavare poi ci sono coloro che vivono con € 6.000 l’anno. Questo governo ha favorito i salari e i redditi più alti perché con i loro voti e il forte assenteismo potrebbero arrivare alla maggioranza assoluta.  Si può dire che è stato ignorato completamente il maxi emendamento presentato dai sindacati per la riforma del fisco.

Una delle principali cause della destrutturazione industriale sono le delocalizzazioni, sarà un altro buco nell’acqua a favore di Confindustria; è stato richiesto un fondo nazionale per la riconversione dei sistemi produttivi onde evitare i finanziamenti a pioggia che senza una politica industriale sono delle regalie a fondo perduto ai soliti parassiti.

Creare una pensione di garanzia per i giovani; eliminare i contratti precari, rendere illegali i contratti pirata, combattere il caporalato, il riciclo, gli investimenti mafiosi e soprattutto l’evasione fiscale: i sindacati non sono neanche stati convocati dal governo. 

A Renzi, Calenda e Letta gli ci vorrebbe Berlinguer - operaio, III media - ha condotto una lunga battaglia per i diritti dei lavoratori e questi stolti stanno distruggendo quanto costruito con tanta fatica, sacrifici e rischi in anni di lotte sindacali.  Senza trascendere è il caso che l’ex premier Conte incominciasse a parlare chiaro e se vuole costruire un’entità politica valida cerchi la base e non si prenda la responsabilità morale di condividere certe decisioni. È uscito a testa alta da palazzo Chigi, rimanga fedele ai suoi principi e parli chiaro lo deve a tutte le persone oneste che hanno combattuto e sono state travolte ed umiliate perché lasciate sole. Poteva tacere piuttosto che dire: “Non demonizzo l’esercizio del diritto allo sciopero, che è costituzionalmente tutelato, ma mi auguro che si riesca a trovare una finestra di dialogo proficua”.

Autore Lucia Pomponi
Categoria Politica
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