IL CASO YARA - PREMESSA

Non intendiamo  interferire nel finale definitivo, piuttosto osservare l'andamento degli eventi, il comportamento dei media e degli analisti più o meno noti.

Quando uscì la notizia della sparizione di questa ragazzina della bergamasca, di madre pugliese, il 26 novembre 2010, non si era ancora spenta l'eco del ritrovamento di una quasi coetanea dall'altra parte d'Italia: Sarah Scazzi , scomparsa il 26 agosto e ritrovata morta ad ottobre, in un pozzo poco lontano da casa sua, in quel di Avetrana, provincia di Taranto.

Particolare curioso, sempre un 26, del febbraio 2011, in televisione arrivò la notizia del rinvenimento del cadavere di Yara, ma noi non abbiamo pensieri esoterici, è un caso.

All'inizio non si pensò subito  alla sua morte e  fu notato il rigido silenzio stampa  della famiglia Gambirasio , contrapposto alla disponibilità al dialogo con i media per esempio  di Concetta, madre di Sarah,  come di altri parenti di giovani scomparsi.

Durante un programma televisivo, mentre ancora si cercava una ragazzina viva, l'ottima Elisa Pozza Tasca, già parlamentare e fondatrice dell'associazione Penelope, rivolse un appello alla signora Gambirasio, esortandola a parlare, ad avviare un dialogo con la figliola teoricamente ancora viva, se non altro per darle forza nel caso, per esempio, di un ipotetico rapimento, di una segregazione in stile Natascha Kampusch: ma il suo invito cadde nel vuoto.

All'epoca i giornalisti, sguinzagliati a miliardi sul posto, si imbattevano ( e ci veniva regolarmente mostrato) in valligiani o contadini e operai del posto, che con tono rude, assicuravano che a cercarla - e trovarla - ci avrebbero pensato loro, sottintendendo che dell'aiuto dello Stato potevano fare a meno. Si trattava di una famiglia del "naard", in fondo... anche se l'origine materna la contaminava un po' e, di fatto, è stata sempre messa in secondo piano.

I volenterosi - e volontari - locali, si saranno pure dati da fare alacremente, ma non trovarono nulla per tre mesi, finché un appassionato di aeromodellismo, rincorrendo uno di quei piccoli aggeggi, quasi inciampò nei poveri resti della ginnasta tredicenne, in un campo in località Chignolo d'Isola, vicino al cantiere di Mapello, dove si stava completando un centro commerciale, poi in effetti terminato.

Noi non siamo tra coloro che hanno sempre il dito puntato contro gli inquirenti, anzi, fatichiamo a capire come possano correre dietro a tutti i fatti e fattacci che si verificano in giro, lavorassero pure giorno e notte.

Capiamo anche che il lavoro è lavoro, ci sono di mezzo appalti, impegni, stipendi da pagare. Ma ipotizziamo che si potessero anche fermare per qualche tempo le operazioni di completamento del futuro centro commerciale (talvolta si chiudono le ditte per indagini): c'era di mezzo un caso di cronaca per cui, come vedremo, la mobilitazione investigativa è stata senza pari.

Alla struttura lavoravano decine di addetti, molti dei quali stranieri - e probabilmente irregolari - che scompariranno per sempre. Ma uno, per motivi che dividono gli opinionisti, non aveva ritenuto di farlo. Continuò a svolgere le sue mansioni di piastrellista, poi si prese un periodo di ferie per andare a trovare famiglia e fidanzata in Marocco, ma nel momento sbagliato, cioè dopo il ritrovamento di Yara.

In pratica, Mohamed Fikri si trovava sul traghetto, forse un po' inquieto - e infatti parlò al telefono con la sua ragazza della vicenda - ma tranquillo per la propria innocenza, quando fu raggiunto dai Carabinieri, riportato indietro e indagato.

Per un attimo si rischiò l'effetto Erika e Omar, un linciaggio mediatico dell'ipotetico immigrato malvagio, che turba la tranquilla vita di provincia di un operoso borgo italiano. Si ricorse anche a perizie sui dialoghi in arabo tra lui e la morosa, e non ci si trovò d'accordo nemmeno sul significato di quelle poche frasi.

Fikri è ben presto uscito dall'inchiesta come indagato e sta chiedendo anche un risarcimento per l'ingiusta detenzione, ma rimane figura non secondaria, come testimone sul punto cronologico.

Insieme al suo datore di lavoro, infatti, la sera del 26 novembre lavorava fino a sera, forse agli ultimi ritocchi alla pavimentatura, e un terzo presente era il custode, costretto a rimanere finché ci fosse stata attività.

I particolari sono largamente reperibili in rete, non ci addentriamo; si sa soltanto che i resoconti dei tre su quanto hanno visto, sentito o fatto rispetto alla tragedia che di fatto si sarebbe svolta a pochi metri da loro, non hanno aiutato molto la ricostruzione; Fikri, da straniero e soggetto al padrone, si è poi sbilanciato il meno possibile.

Adesso procediamo per capitoli, e in estrema sintesi, per evitare gineprai maggiori di quello che già la vicenda in sé rappresenta, riassumendo le notizie salienti che ci ricordiamo e abbiamo letto e ascoltato. NOI NON CONOSCIAMO GLI ATTI e quindi siamo osservatori di fonte mediatica.

Continua...